Gli effetti dell’allevamento industriale ci arrivano nel piatto
24 aprile 2002Categoria : Mucca Pazza & Co.
Tag : allevamenti intensivi, bse, carne, hamburger, industria, mucca pazza, scelta vegan
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La USDA ha appena ritirato 12 milioni di kg di hamburger contaminati ed il Segretario all’Agricoltura Dan Glickman ha fatto del suo meglio per sembrare ottimista.
Ad agosto davanti ai giornalisti diceva: “A questo punto tutto ci fa capire che abbiamo contenuto l’insorgere di un’epidemia”. Ma queste rassicurazioni non hanno poi generato molto ottimismo. Non solo i ricercatori non sono riusciti ad individuare la fonte del contagio, ma tutte le parti coinvolte – compresa l’industria della carne – hanno ammesso che future epidemie saranno inevitabili.
La specie mortale del batterio E. coli trovata negli hamburger della Hudson Foods Inc. è solo una delle tante malattie mortali che trovano nel cibo il veicolo di trasmissione. Il problema è causa e conseguenza inevitabile dei moderni sistemi di allevamento industriale nel quale la distribuzione massificata di cibo prodotto industrialmente ha anche creato le potenzialità per un uguale grande distribuzione di malattie. Malattia, infezioni, virus etc. che possono entrare nel ciclo produttivo ovunque ed hanno poi la possibilità di diffondersi in ogni dove e spesso di non essere individuate se non, ormai, dentro il piatto del consumatore. E poi l’allevamento industriale è ormai così radicato nella società moderna, che nessuno propone seriamente delle alternative. Nel frattempo il dipartimento dell’agricoltura (USDA) sta conducendo delle battaglie di retroguardia – contenere l’esplosione di epidemie anziché prevenirle – questo perché azioni preventive comporterebbero atti così profondi e radicali che nessuno è in grado di imporre.
Che cosa devi fare allora per proteggerti dal cibo pericoloso? Secondo la USDA e l’industria del cibo, dovresti lavarti le mani e pulire la superficie dove cucini molto spesso, e cuocere a lungo ogni alimento. In altre parole bisogna pensare alla cucina come ad un centro di decontaminazione. All’interno della grande industria alimentare invece ci si muove per varare altre riforme, ridicoli protocolli per la sicurezza del cibo denominati HACCP “hazardous and critical control points”… in parole povere vorrebbero nuclearizzare il cibo prima di vendertelo, bombardandolo con radiazioni per uccidere tutti i batteri.
Ma queste procedure “hazardous and critical control points” risulterebbero efficaci solo se riuscissero ad anticipare e bloccare tutte le strade attraverso le quali le malattie possono attaccare e diffondersi. Ma anche irradiando il cibo – soluzione attualmente sostenuta dall’industria alimentare, e da quella del trattamento delle scorie nucleari – non è possibile eliminare tutti i potenziali elementi in grado di ucciderci. Si tratta semplicemente dell’ultima banalità high-tech posta come soluzione ad un problema creato dalla produzione massificata. Problemi che ci dimostrano come i rischi e gli azzardi delle innovazioni tecnologiche nei processi naturali sono difficili da prevedere e, una volta emersi, si dimostrano praticamente impossibili da controllare. Il problema è di natura globale sia per importanza che per espansione.
Prendiamo ad esempio il caso della malattia della mucca pazza.
Identificata per la prima volta in Inghilterra nel 1985, la malattia della mucca pazza – tecnicamente encefalopatia spongiforme bovina (BSE) – produce demenza ed un profondo deterioramento fisico prima di uccidere. Deriva da una categoria di malattie cerebrali mortali conosciute come encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE), così chiamate per il fatto che devastano il cervello delle vittime con dei microscopici buchi come quelli di una spugna.
Né l?irradiazione, né la cottura, e nemmeno le altre pratiche di sterilizzazione, sono capaci di uccidere gli agenti infettivi che causano le TSE. Secondo la maggiore corrente di pensiero scientifica, gli agenti infettivi non sono eliminabili, perché non c?è un organismo vivente contro cui agire. E? semplicemente una proteina chiamata “prion” (prione), esistente in tutti i mammiferi e che ha la capacità di mutare in una configurazione mortale che si moltiplica reclutando le altre proteine prion e mutando anch?esse.
Una bistecca attraverso il cuore
Se il prion è solo una proteina, ne segue che per “disinfettare” la carne contaminata, questa dovrebbe essere trattata con qualcosa che distrugge le proteine – il che porterebbe a far venir meno uno dei maggiori motivi per i quali si mangia la carne, ossia per le proteine. Oltre alle radiazioni il prion può resistere ad antibiotici, bollitura, cloro, formaldeide ed un?altra varietà di solventi ed enzimi usati per distruggere la maggior parte dei batteri e dei virus. In un esperimento, l?agente infettivo è rimasto attivo e trasmissibile dopo una esposizione di un?ora ad una temperatura di 360 gradi centigradi, abbastanza calore da liquefare il piombo e da ridurre una spessa bistecca in cenere. Questa resistenza ha indotto i ricercatori ad ammettere la scomoda realtà che “anche incenerendolo non era possibile avere la certezza di rendere inattivo l?agente”.
Ma ancora peggio, i prion infetti sono semplicemente la versione “mutata” di proteine che il corpo produce naturalmente, e individuare la loro presenza è altrettanto difficile che individuare un virus o un batterio. Infatti le TSE non producono infiammazioni o febbre e non danno riscontro agli anticorpi. Di solito la malattia procede nascosta e quando appaiono i primi sintomi la morte è ormai inevitabile.
Diversamente da altre malattie infettive, le TSE possono apparire, a causa delle mutazioni, anche in popolazioni che non ne sono mai state esposte. Questi eventi “spontanei” colpiscono circa un milione di esseri umani ogni anno, ed uccidono diversi altri mammiferi nella stessa quantità. Per finire le TSE sono caratterizzate da una incubazione più lunga di quella del virus dell’AIDS. Sono stati documentati casi in cui sono passati più di 40 anni tra l’esposizione al virus e l’emergere dei sintomi. Presi insieme questi elementi rendono impossibile pensare di prevenire epidemie attraverso la quarantena, oppure individuare segni di epidemia prima che questa esploda e si diffonda in enormi proporzioni.
Fortunatamente le encefalopatie spongiformi trasmissibili hanno un tallone d’Achille: sono solitamente “difficilmente” trasmissibili, specialmente da una specie all’altra.
Con l’eccezione di una forma della malattia nelle pecore chiamata “scrapie”, le TSE si sono diffuse sensibilmente solo in popolazioni che adottano abitudini alimentari innaturali. Il caso più evidente conosciuto è stato quello della popolazione dei Fore in Papua Nuova Guinea. Dopo aver introdotto elementi di cannibalismo nelle loro cerimonie funebri all’inizio del ventesimo secolo i Fore rimasero in gran parte vittime di una devastante epidemia di TSE chiamata “kuru”.
Nel mondo ad alta tecnologia dell’allevamento industriale, il cannibalismo è non solo praticato, ma ci viene raccontato come l’ultimo miracolo dell’efficienza moderna e del progresso.
Mangi ciò che sei
Al giorno d’oggi, nel complesso alimentare industriale e nell’allevamento hi-tech il cannibalismo ed altre pratiche innaturali di alimentazione non solo sono praticate, ma vengono raccomandate come l’ultimo ritrovato dell’efficienza e del progresso.
Per quanto queste pratiche siano molto più diffuse negli Stati Uniti che negli altri paesi, è in Inghilterra che sono stati documentati i primi casi di proliferazione di TSE da altri mammiferi ad esseri umani. Come per il “kuru”, l’epidemia inglese della mucca pazza rivela tracce di cannibalismo – in questo caso a causa della nutrizione di bestiame con proteine “provenienti” da altro bestiame. Dopo la morte delle prime persone in Inghilterra, la USDA e l’industria dell’allevamento hanno riluttantemente adottato una limitata restrizione di questa pratica. Rimane comunque legale nutrire allo stesso modo, con proteine animali reintrodotte (ossia con gli scarti della macellazione degli stessi), i non-bovini, ossia polli e maiali, dei quali poi i resti saranno dati come alimentazione ad altro bestiame bovino. Inoltre i maiali stanno ancora mangiando maiali, ed i polli sono normalmente nutriti con aggiunte proteiniche provenienti dalle piume, dal sangue ed anche dalle feci di altri polli.
Secondo Beatrice Trum Hunter redattrice della sezione cibo di Consumer Research l’industria alimentare è alla ricerca di sistemi di nutrizione animale sempre più economici passando da erbe e fieno ad un sistema alimentare basato sui rifiuti di macellazione e gli escrementi. La ricerca di un nuovo regime alimentare nell’allevamento deriva direttamente dai mutamenti che ci sono stati nell’agricoltura. … Una grande quantità di sostanze hanno trovato spazio nell’alimentazione animale. Questo include rifiuti agricoli e animali. I mattatoi forniscono sangue, zoccoli, interiora, peli e piume da usare nell’alimentazione animale. L’industria fornisce rifiuti come segatura, schegge di legno, ma anche giornali e scatoloni, così come altri rifiuti industriali o fanghi degli impianti di depurazione urbani, acqua di riflusso delle centrali elettriche a carbone e acqua di scarto delle centrali nucleari. … L’agricoltura fornisce le 4 M: animali morti, morenti, malati o malformati, grano guastato dall’umidità o dalle larve, cibo contaminato dagli escrementi di roditori, uccelli o scarafaggi.
Queste innovazioni esistono poiché sono una fonte di nutrimento economica ed un modo conveniente per lo smaltimento dei rifiuti in larga scala. La maggior parte di queste novità viene dalle pratiche adottate negli ultimi venti anni, incoraggiate e aiutate dall’USDA, dagli scienziati e dai laboratori di ricerca delle università; i loro progetti pilota ed esperimenti hanno “dimostrato” che “sostanze alimentari alternative” possono essere utilizzate con sicurezza.
I maiali stanno ancora mangiando maiali, ed i polli sono normalmente nutriti con aggiunte proteiniche provenienti dalle piume, dal sangue ed anche dalle feci di altri polli.
Morire per cena
I progetti pilota, comunque, non possono anticipare rare ed insolite patologie come le encefalopatie spongiformi trasmissibili, e non sono buoni, questi progetti, neanche per prevedere la possibilità di altre insorgenze di malattie infettive. Il governo e l’industria sono stati consapevoli di questi pericoli per anni, ma sono stati portati di nascosto alla pubblica discussione per paura di una reazione dei consumatori. Un rapporto su di una ispezione sul bestiame del 1990 del Food and Nutrition Board dell’Accademia Nazionale delle Scienze ha scoperto che negli Stati Uniti, le malattie provenienti dal cibo sono “stabilmente in crescita”.
Ogni anno avvengono [negli USA] circa 5 milioni di casi di malattie provocate/trasmesse dal cibo, delle quali circa 5.000 hanno esito mortale. Questo evidente aumento è diffusamente attribuito ai processi di automazione nella produzione del cibo, all’aumentata fiducia nei fast-foods, aumento dei consumi di cibi preconfezionati e di forni a microonde, metodi di macellazione e mancanza di conoscenza riguardo alle precauzioni igieniche da adottare in tutte le fasi della manipolazione del cibo.
Anche l’Associazione Nazionale degli Allevatori di Bovini [NCBA National Cattlemen’s Beef Association] ammette che il dato sulla stima per le vittime umane è conservativo. Secondo James Regan della NCBA “oggi [1994] le malattie che provengono dal cibo sono il maggior problema per l’industria ed il maggior costo per il nostro paese. Se si guarda ad alcune stime ci sono circa 12,6 milioni di casi di malattie provenienti dal cibo ogni anno. Il costo è stimato essere di circa 8,4 miliardi di dollari, comprese le giornate lavorative perse, il costo delle cure etc.”
L’ufficio di contabilità generale del governo USA stima il pericolo sempre più alto, ritenendo la reale incidenza di cibo portatore di malattie pari a 81 milioni di casi l’anno. Dal 1997 il numero riconosciuto di casi di morte negli USA era di 9000 l’anno. La salmonella e la listeria sono ai primi posti dell’elenco delle comuni infezioni, ma l’ESCHERICHIA COLI 0157:H7, la causa del ritiro degli hamburger Hudson, è divenuta un problema crescente.
E. coli è un batterio comune e solitamente benigno, ma la variante 0157:H7 può essere mortale.
“E’ un problema critico per noi, e sarà un problema sempre più grande finchè continua a colpire, la maggior parte delle volte, bambini di età compresa tra il primo e l’ottavo anno di età” ha detto Reagan. Inizialmente identificato nel 1982, E. coli 0157:H7 può indurre crampi addominali così acuti da gareggiare con i dolori da appendicite, seguiti entro 24 ore da diarrea acquosa che, più tardi diventa approssimativamente sanguinolenta, descritta in alcuni casi “tutto sangue e non feci”. In uno ogni venti pazienti, specialmente bambini, questi sintomi progrediscono in condizioni più gravi come la sindrome HUS (Hemolytic uremic), contraddistinta dalla coagulazione dei globuli rossi che, a turno, possono causare insufficienze renali e cardiache, disordini del sistema nervoso centrale, attacchi, coma e morte.
I ricercatori stanno scoprendo che il problema è più esteso e complicato di quanto si pensasse precedentemente. Quando un gruppo di microbiologi belgi ha provato ad evincere la causa delle minacciose insufficienze renali dal cibo contaminato, non hanno trovato l’E. coli 0157 nei pazienti colpiti.
Dopo aver condotto test genetici o tossicologici i ricercatori hanno scoperto che i pazienti gravemente ammalati erano affetti da altre varianti di E. coli, fra cui l’E. coli 026,091,0103,0111 e 0172. Senza i test specializzati che hanno svolto, tali varianti sarebbero rimaste sconosciute e la sorgente del contagio impossibile da trovare.
La carne macinata e poco cotta è il veicolo più comune dell’infezione da E. coli, che è esplosa sempre di più nelle case di cura, nei ristoranti e in altri ambienti istituzionali. La più nota singola “esplosione” fu un caso estremamente pubblicizzato nel 1992, che riguardava hamburger contaminati nei ristoranti Jack-in-the-box, che contagiarono più di 700 persone, causando 55 casi di HUS e 4 casi di morte.
La reazione dei media per questo caso spinsero James Reagan a considerare “come le testate di oggi possano essere paragonate a quelle del volgere del secolo, quando Upton Sinclair scriveva (La giungla). Sappiamo quanto rivoluzionario fu quel libro e quanto fosse devastante per l’industria della carne” disse anche “penso al numero di discussioni tenute negli ultimi sei mesi con le agenzie regolatrici, con gli imballatori di carne e con altri. Ho lasciato alcune di quelle conversazioni pensando che questa esplosione in gennaio sarebbe potuta essere rivoluzionaria quanto ciò che accadde al volgere del secolo.”
Filetto di anima
La situazione potrebbe essere rivoluzionaria, ma la reazione dell’industria è stata principalmente di tipo controrivoluzionario. Piuttosto che offrire soluzioni per prevenire future esplosioni, l’industria si concentra nel contenere le esplosioni correnti, includendo esplosioni di interesse pubblico. Questa attitudine circa i rischi per la salute si ritrova nelle parole di Jack Mongoven, presidente della ditta Mongoven, Biscoe e Dunchin PR che consiglia la National Cattlemen’s Beef Association (NCBA).
Nel ’94 Mongoven favorì una reazione dell’industria alla testimonianza compilata dall’agenzia di protezione ambientale, che mostrava come il consumo di carne e latte fosse ritenuto il responsabile per 3/4 dell’esposizione umana ad infezioni come la diossina.
L’esposizione alla diossina, persino a piccole quantità, è stata paragonata al cancro e all’alterazione endocrina, che può causare deformazioni sessuali, un abbassamento delle capacità intellettive ed altri problemi ormonali.
“L’Associazione Nazionale Allevamento Bovini [NCBA] sta coordinando un gruppo di industrie colpite affinchè reagiscano” ha scritto Mongoven in un promemoria privato. Al momento gruppi di industrie nel cui ciclo viene prodotta diossina si sono uniti nel contestare i dati tossicologici… NCA e i suoi alleati nel gruppo lavorativo hanno una storia di solide relazioni con il Dipartimento di Agricoltura, ed è sicuro che useranno questi forti vincoli per esercitare pressioni sull’EPA per mezzo dell’Agricoltura.”
Grazie ad un informatore corporativo, numerosi promemoria personali di Mongoven furono fatti conoscere a Greenpeace.
I documenti rivelarono un’attitudine cinica circa la sicurezza umana che scandalizzò persino stanchi attivisti politici.
D’accordo con Mongoven l’industria dovrebbe promuovere una campagna aggressiva contro gli ambientalisti e contro altri attivisti che “fanno leva sulle emozioni del pubblico e sul suo interesse per le generazioni future”. Tali interessi, egli dimostra, sono semplicemente parte di uno sforzo ambientalista per attaccare il potere sociale tramite l’imposizione di un nuovo e nefasto modello legale che Mongoven chiama “il principio precauzionale”.
“Il principio precauzionale ritiene che un industriale deve dimostrare che il suo prodotto non nuoce, prima che questo possa essere messo in vendita” si lamentava Mongoven nel numero del marzo ’95, di “Eco-logic”, una rivista anti-ambientalista.
“Gli attivisti vogliono usare quest’arma per controllare il comportamento degli altri americani… [per] rivoluzionare l’opinione americana circa l’ordine, la legge costituzionale ed il ruolo del governo nella società”.
Per vincere la sua guerra contro gli attivisti l’industria ha bisogno di “mobilitare la scienza contro il principio precauzionale… L’industria deve identificare le implicazioni messe in atto dal pericolo che questo infligge al ruolo della scienza nello sviluppo e nella produzione moderna”.
Apocalypse Cow?
(cow=mucca)
La sindrome della mucca pazza pone in triste rilievo i due volti del dibattito sul principio precauzionale. Come in molte situazioni che turbano la salute pubblica, dai pericoli del riscaldamento globale alle radiazioni di basso livello, fino alla contaminazione da pesticida, la scienza è convincente, ma non definitiva.
L’industria sostiene che se un chiaro pericolo non può essere dimostrato oltre ogni ombra di dubbio, allora il mercato dovrebbe decidere ed il commercio non dovrebbe essere limitato.
Attivisti e ambientalisti sostengono che sia compito dell’industria lo stabilire la sicurezza di un prodotto o di un preparato prima che siano messi in commercio e che i consumatori non dovrebbero mai essere usati come cavie. Nel caso della sindrome della mucca pazza, nessuno sa se il problema rimarrà contenuto o diventerà epidemico ed un caso credibile può essere costituito da entrambe le situazioni.
Con una potenziale e così alta posta in gioco – l’opposizione tra la salute di una importante industria e le vite di milioni di cittadini – le agenzie governative sembrano mostrare imbarazzo.
Il 20/3/1996, dopo molte pressioni pubbliche, Londra ha annullato una decade di negazioni ed ha ammesso che il consumo di carne di “mucca pazza” ha costituito la più credibile spiegazione per l’apparire di una bizzarra, mai vista prima, forma di demenza negli esseri umani, nota come una nuova variante della sindrome di Creuzfeldt Jacob (nv CJD).
“E’ impossibile calcolare l’entità dell’epidemia – può coinvolgere solo centinaia di persone, ma potrebbe …diventare un disastro di proporzioni bibliche.” John Collinge, microbiologo
Come le varianti convenzionali di sindrome di Creuzfeldt Jacob, la nuova variante appartiene alla classe dell’encefalopatia spongiforme contagiosa. Come tutte, la nuova variante è incurabile ed inevitabilmente mortale. La variante tradizionale attacca quasi sempre persone sopra i 50 anni di età. A differenza di questa la nuova variante viene alla luce quando i giovani, la cui maggior parte è compresa tra i 13 ed i 19 anni di età, sono moribondi.
Fino ad oggi tra gli umani sono stati documentati 22 casi della nuova variante, con numerosi casi ancora sospetti e quindi non confermati.
Il numero, fino ad ora, è esiguo, ed è possibile che rimanga tale, ma ciò non costituisce per nessun motivo una certezza. Come l’AIDS, le encefalopatie spongiformi sono sindromi che possono richiedere anni, anche decenni per l’incubazione, rendendo perciò impossibile il pronosticare l’entità di un’infezione nel corso dei suoi stadi iniziali. Questo parallelismo è stato notato da Luc Montaigner, lo scienziato francese che per primo, nel 1983, scoprì l’agente infettivo che provoca l’AIDS. All’epoca la Francia aveva solo 200 casi di AIDS. “Non capii che l’epidemia sarebbe potuta esplodere così velocemente e così ampiamente nel mondo,” ha affermato, temendo che il numero delle prime vittime umane della mucca pazza possa essere il precursore di un’epidemia più estesa. “E’ difficile fare dei pronostici, così come avvenne per l’HIV nel 1983”.
Nessuna traccia di TSE è stata individuata nelle mucche fino alla metà degli anni ’80; e il numero totale di casistiche nei bovini non ha raggiunto il migliaio fino al 1998. Da allora, tuttavia, l’infezione è stata diagnosticata in più di di 160.000 mucche e gli scienziati concordano sul fatto che la maggior parte di esse è stata contagiata nel periodo in cui il governo britannico stava dichiarando senza il minimo dubbio che “il numero dei casi confermati è molto basso”. Quei giorni furono veramente difficili; infatti nessuno avrebbe potuto prevedere cosa stava realmente accadendo. Il ricercatore britannico Richard Kimberlin disse nel ’96:” Ora è tutto dolorosamente chiaro, l’assoluta entità dell’epidemia”.
Upton Sinclair incontra Soylent Green
Mentre il destino delle mucche inglesi può essere evidente, quello di coloro che mangiano la loro carne rimane oscuro. Notizie recenti non sono state buone.
Durante questo mese di agosto, medici hanno rivelato che Claire Louise Tomkins è diventata la ventiduesima vittima riconosciuta della sindrome da mucca pazza.
Ventiquattrenne all’epoca del decesso, la Tomkins è stata una convinta vegetariana per dodici anni. In anticipo sull’epidemia l’industria della carne avrebbe probabilmente interpretato questo fatto come “prova” che qualcos’altro, rispetto al mangiare carne, fosse la reale causa della nuova variante di CJD.
Ciononostante, oggi la crescente evidenza ha indotto un quasi unanime consenso scientifico nei confronti del collegamento alla carne.
Il fatto che la sindrome si sia manifestata in una donna che non consumava carne da dodici anni evoca sinistre possibilità. Mentre la Tomkins potrebbe aver mangiato una piccola quantità di carne, senza essere consapevole di ciò, è anche probabile che la sua malattia sia stata incubata per più di 10 anni e che lei si sia infettata mangiando carne prima che la sindrome della mucca pazza fosse scoperta nelle mucche.
In tale circostanza i 22 casi di nvCJD da datare potrebbero segnare l’inizio di una gigantesca epidemia. C’è anche la possibilità che la Tomkins sia stata contagiata tramite prodotti non composti da carne. Come la maggior parte dei vegetariani, beveva latte e mangiava formaggio, e fu probabilmente esposta a prodotti di origine bovina, come la gelatina, che è usata in una estesa varietà di cibi lavorati, così come nelle medicine e nei cosmetici.
Ciononostante test di laboratorio non hanno riscontrato infettività nel latte o nella gelatina. Se questi ultimi fossero il veicolo attraverso il quale la ragazza ha contratto la sindrome, ciò implicherebbe il fatto che i test esistenti non sono sufficientemente sensibili e che livelli non riscontrabili dell’infezione mortale sono entrati nella catena alimentare umana. Qualunque sia la causa, gli scienziati stanno facendosi sempre più interessati. Nel 1996 il microbiologo inglese John Collinge è stato uno dei ricercatori il cui lavoro è stato costantemente menzionato come l’evidenza che la sindrome della mucca pazza riservava pochi o nessun tipo di rischi agli umani.
Nonostante ciò, durante questo mese di agosto egli ha dichiarato: “Sto giungendo a conclusione che i dottori che lavorano in questo campo debbano dire quello che pensano anche se ciò può dare luogo ad ansie che, più tardi, possono rivelarsi infondate.
Mentre l’industria vuol mettere sul mercato ogni prodotto del quale non sia espressamente dimostrata la pericolosità, gli ambientalisti insistono che i consumatori non possono essere utilizzati come cavie da laboratorio.
Abbiamo delle grosse responsabilità da avvertire, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che ciò che diciamo può essere allarmistico e può causare irrimediabili danni economici. Ma non si può negare a lungo la possibilità che potremmo dover affrontare un’epidemia. E’ impossibile pronosticare l’entità dell’epidemia; essa può coinvolgere solo un centinaio di persone, ma si potrebbe estendere in tutta Europa e diventare un disastro di proporzioni bibliche. Dobbiamo affrontare la possibilità di un disastro con 10.000 casi. Non sappiamo se ciò accadrà, ma ciò che è certo è che non possiamo permetterci di aspettare e rimanere a guardare. Dobbiamo fare qualcosa, proprio ora. Dobbiamo trovare delle risposte, non solo alle domande riguardanti la natura della sindrome, ma è necessario trovare un modo per sviluppare un trattamento efficace”.*
Può succedere qui?
Negli USA non è stato ancora documentato nessun caso della variante inglese di encefalopatia spongiforme bovina, ma è evidente che un differente tipo di TSE si è già presentato nel bestiame americano. Epidemie di encefalopatia contagiosa sono state annientate in alcune fattorie di visoni, ed i dati epidemiologici mostrano chiaramente che questa rara sindrome si è diffusa tramite cibi contaminati. In ogni caso documentato da aggiornare, proteine bovine sono state parte della dieta alimentare dei visoni. Nel 1985 il professor Richard Marsh dell’università del Wisconsin indagò su un caso in cui la sorgente primaria di cibo degli allevatori di visoni proveniva da “mucche downer”, animali ritenuti non idonei al consumo umano. I loro sintomi, per esempio l’incapacità di restare in piedi, li accomunarono alla sindrome della mucca pazza. Ulteriori ricerche hanno mostrato che quando la materia cerebrale è stata trasmessa dai visoni contagiati al bestiame sano, ha prodotto un tipo di TSE dai sintomi identici a quelli comunemente riscontrati nelle “mucche downer”.
Un altro inatteso percorso di rischio di morbo di Creuzfeldt Jacob (CJD) raggiunse i titoli delle testate americane nell’agosto del 1997, quando i ricercatori studiarono 5 pazienti non imparentati nei quali era stata riscontrata CJD in una clinica del Kentucky ovest e scoprirono che tutti e cinque si erano cibati di cervelli di scoiattoli.
Benchè i cervelli di scoiattolo siano consumati da alcuni individui nelle zone rurali, essi costituiscono difficilmente una popolare qualità di cibo. Nessun caso di TSE era mai stato riscontrato in uno scoiattolo, ma il collegamento risultava sufficientemente allusivo affinchè i ricercatori sollecitassero “attenzione…nel consumare questi roditori”.
Fin’ora sembra che gli USA abbiano schivato un’epidemia come quella che ha mandato in rovina l’industria di bestiame britannica. Ma ciò è avvenuto più grazie alla fortuna che non a solide tattiche. Anche dopo che l’Inghilterra proibì di cibare le mucche con alimenti tratti da mucche abbattute i funzionari dell’USDA continuarono a dire agli allevatori che tale pratica era sicura. Gary Wilson, dell’Associazione Nazionale degli allevatori reagì ridicolizzando l’avvertimento di Jeremy Rifkin (che avvisava che la BSE avrebbe potuto comportare dei rischi per gli umani) definendolo “uno sforzo molto creativo di indagine ed evidenza scientifica”.
Wilson ammise che “l’industria potrebbe trovare delle alternative economicamente flessibili alle proteine (delle farine) animali ciononostante , l’associazione non vuole rappresentare un precedente nell’essere comandata dagli attivisti ambientalisti”. (Food Chemical News, 5/7/93)
Internamente, alcuni membri dello staff USDA, nell’ambito del Servizio di Ispezione della Salute di Animali e Piante (APHIS) si sono schierati per l’applicazione del principio precauzionale. Un resoconto interno del 1992 raccomandava un bando ingiuntivo sull’alimentazione tra elementi della stessa specie. “Essi pensano che poichè c’è la prova che maiali, gatti, visoni, cervi ed una larga varietà di animali sottoposti a sperimentazione possono essere sensibili ad encefalopatie spongiformi contagiose” – per cui il rapporto sosteneva che – “l’unico sistema prudente consiste nel non nutrire alcuna specie animale con prodotti che possono contenere questi agenti”. “Il vantaggio di questa scelta è che si riduce il rischio di BSE. Lo svantaggio è che il costo per il bestiame e le industrie sarebbe cospicuo.”
Cionostante non fu intrapresa nessuna azione fino al 4 giugno del 1997, più di un anno dopo che il governo inglese ammise con riluttanza che gli esseri umani stavano morendo per aver consumato carne infettata da BSE. Il regolamento ora in corso bandisce ufficialmente la pratica di nutrire il bestiame con proteine derivate da altri ruminanti. Nonostante ciò le pratiche di nutrizione cannibale continuano con maiali, polli ed altre specie non ruminanti.
Fin’ora, quindi, esposto alla scelta tra un possibile danno alla salute pubblica ed un torto all’industria privata, il governo ha gettato al vento il principio precauzionale.
Zitto e mangia: la censura alimentare negli USA
Nel frattempo, le corporation stanno cercando di raffreddare le critiche. Il 19 giugno un giudice inglese ha decretato che due ambientalisti avevano commesso una “Mc diffamazione” nel criticare la catena di ristoranti Mc Donald’s perchè serve cibi grassi e poco salutari, perchè danneggia l’ambiente, perchè paga stipendi bassi e perchè maltratta gli animali. Benchè il giudice Rodger Bell avesse ammesso che vi era una base oggettiva per tali critiche, decretò secondo la reazionaria legge inglese sulla diffamazione che gli ambientalisti Helen Steel e Dave Morris erano comunque colpevoli ed ordinò loro di pagare 96.000 dollari di danni.
Negli USA l’industria alimentare sta facendo gli straordinari per decretare le leggi sulla diffamazione di stampo inglese, che rendano più facile ridurre al silenzio ambientalisti e giornalisti.
Il business agricolo ha trascorso gli ultimi 10 anni promuovendo leggi sulla “diffamazione del cibo” in dozzine di stati ed ottenendone l’approvazione in 13: Alabama, Arizona, Colorado, Florida, Georgia, Idaho, Louisiana, Mississippi, N. Dakota, Ohio, Oklahoma, S.Dakota e Texas.
Soprannominate dai media “banana laws” [leggi banana] o “broccoli bills” le leggi sulla diffamazione dei prodotti agricoli erano specificatamente ed espressamente designate per raffreddare le critiche e proteggere i profitti dell’industria e per prevenire che la gente esprimesse opinioni che scoraggiassero i consumatori dall’acquistare particolari alimenti. La scarsa diffusione da parte dei media delle nuove leggi ha portato a banalizzare gli argomenti con astuti giochi di parole e a commenti leggeri al riguardo. “Pensate a come diffamare gli asparagi o come criticare i broccoli” scriveva nei suoi titoli di testa il Los Angeles Times. “Non mangiare quei cavolini di Bruxelles andati a male. Potrebbe costarvi caro” affermò sarcasticamente USA Today. Ma mentre i media sommessamente ridono compiaciuti, il potenziale effetto di raffreddamento e le implicazioni legali portate da queste nuove leggi sono ampiamente ignorate. Nonostante che il Primo Ammendamento affermi che “il Congresso non emetterà alcuna legge…che limiti la libertà di parola o di stampa; o il diritto delle persone a riunirsi pacificamente e richiedere giustizie e riparazione al governo”, le nuove “leggi sulla diffamazione dei prodotti agricoli” lo stanno proprio facendo. Danno alle industrie alimentari il potere di citare a giudizio coloro che criticano i loro prodotti, introducendo uno standard di testimonianze che modificano “l’onere della prova” largamente a favore dell’industria. “In queste leggi, il business agricolo americano vede ancora i suoi più potenti mezzi da utilizzare contro gli attivisti ambientalisti e pro-sicurezza alimentare le cui campagne possono costare all’industria alimentare milioni di dollari qualora queste influenzassero le abitudini dei consumatori” osserva il reporter del Village Voice Thomas Goetz. [Thomas Goetz, ” After the Oprah Crash”, Village Voice, Apr., 29, 1997, p.39]
Il primo bersaglio di una citazione in giudizio sotto la nuova legislazione è Howard Lyman appartenente alla Humane Society degli USA, che è stato citato a giudizio insieme a Oprah Winfrey, per aver parlato dei pericoli per gli umani riguardo l’epidemia di mucca pazza in Gran Bretagna durante una puntata dell’Oprah Show [l’Oprah Show è il talk show televisivo più seguito negli USA.
Oprah Winfrey è una delle più note conduttrici tv, un po’ come Maurizio Costanzo in Italia n.d.t.]. La citazione a giudizio nei suoi confronti, che venne intrapresa nel 1996 dall’allevatore Paul Engler, affermava che l’allarme lanciato da Lyman sulla malattia della mucca pazza “va oltre tutti i possibili limiti della decenza ed è assolutamente intollerabile in una comunità civilizzata.” (tratto da: Petizione di Paul F. Engler e Cactus Feeder Inc. contro Oprah Winfrey, Harpo Productions, Howard Lyman and Cannon Communications, US District Court, Texas Northern District, 28.05.1996)
La citazione in giudizio di Oprah sarà il primo caso-test per un nuovo standard legale. “Tutti gli occhi agricoli faranno riferimento a questo”. Osservava uno dei lobbisti dell’industria agricola. L’avvocato di Engler descrisse la citazione a giudizio come “un caso storico; utilizzato come un vero e proprio campanello di allarme. Reporter, giornalisti ed intrattenitori – o qualsiasi altra cosa Oprah si consideri – dovranno fare più attenzione…”
Spostare l’onere
Con le precedenti leggi, l’industria alimentare aveva sopportato l’onere della prova. Per vincere un caso sulla diffamazione, le aziende dovevano provare che le critiche veicolavano deliberatamente e consapevolmente false informazioni.
Con i nuovi standard, comunque, non importa che Lyman creda nelle sue deposizioni, o che possa dimostrarle tramite scienziati di un certo peso che sostengono le sue conclusioni. Secondo Tom Holt, della destra, alleato di lunga data con le istituzioni per le cause della destra, le nuove leggi pongono “l’onere della prova sull’attivista diffamante”, piuttosto che precedentemente dove l’onere stava all’industria produttrice delle merci diffamate.” [Tom Holt, “Could Lawsuits Be the Cure for Junk Science?” Priorities, v. 7, n. 2 (1995)]
Ciò sta ad indicare che invece di costringere le corporazioni a dimostrare che i loro critici affermano il falso, i critici dei prodotti possono essere giudicati colpevoli a meno che non possano provare che ciò che affermano sia vero.
L’industria potrebbe condannare Lyman per aver diffuso “informazioni false” a meno che non si convincesse la giuria che le sue affermazioni sull’Oprah Show deviavano dall’essere “dati, fatti o indagini scientifiche, reali e ragionevoli”, uno standard legale che offre un ovvio vantaggio alle multi-miliardarie industrie di bestiame, – in modo particolare alle industrie di bestiame del Texas – e in particolare rispetto della malattia della mucca pazza, una malattia esotica le cui caratteristiche continuano a confondere i ricercatori. E le sanzioni penali sono rigide. In Idaho può essere richiesto agli imputati di pagare una multa equivalente ai danni finanziari reclamati dai querelanti. In Texas, la multa corrisponde a tre volte tanto i danni. In Colorado, la legislazione prevede fino a un anno di vera e propria prigione.
“Gli statuti sulla diffamazione della agricoltura rappresentano un atto legislativo che isola un settore economico dalla critica e per questo possono avere un impressionante successo nel mettere a tacere tutti quei discorsi relativi al cibo che mangiamo” osserva David Bederman, professore Associato di legge presso il corso di giurisprudenza all’Universitaria di Emory. “La libertà di parola, sempre preziosa, adesso lo diventa ancora più, in un periodo nel quale le industrie agricole fanno uso di metodi mai provati in precedenza, come varietà di pesticidi esotici, ormoni della crescita, radiazioni, ed esperimenti genetici sui nostri viveri. Gli scienziati e i difensori dei consumatori devono avere la possibilità di esprimere le loro legittime preoccupazioni. Gli statuti sulla diffamazione dell’agricoltura conducono solamente a quel tipo di discorso. In fondo, qualsiasi restrizione della libertà di parola sulla qualità e la sicurezza dei nostri prodotti alimentari è pericolosa, antidemocratica e anticostituzionale”. [David J. Bederman, interview by John Stauber, Feb. 15, 1997]
Jim Sartwelle, proprietario di un ranch di bestiame in Kansas non è d’accordo. “Da quel tipo di discorsi, io non sento la necessità di esser protetto” afferma. E’ importante avere una sorta di protezione per penalizzare coloro che fanno affermazioni non dimostrabili.” [Anthony Collings, “Food Producers Push for Laws Protecting their Crops from Rumors,” CNN, May 13, 1996]
Questo è ciò che è emerso dal caso Oprah come il test può fortunatamente provare. Tra il dibattito scientifico e i molti misteri che circondano la malattia è emerso un fatto indiscusso. La malattia delle mucche è diventata una epidemia a causa dei mezzi utilizzati nelle moderne fattorie in particolare, l’uso di alimenti proteici derivati da carne trattata di altre mucche (le farine animali n.d.t.). L’apparizione di Howard Lyman nell’Oprah Winfrey show si concentrava precisamente proprio sul “cannibalismo delle mucche”. Era stato citato in giudizio, perchè aveva raccontato accuratamente e correttamente ad una platea nazionale che l’industria della carne statunitense continuava a praticare il cannibalismo su larga scala.
Slapp Happy
Non è importante conoscere quale è il verdetto del caso Lyman. Nonostante ciò l’industria alimentare crede di essere la vincitrice. Lyman è una vittima di una tecnica che è diventata così popolare tanto che nei circoli legali gli hanno affibbiato un soprannome: “Slapp suits”, un acronimo per (Strategic Lawsuits Against Public Partecipation) “leggi strategiche appositamente create contro la pubblica partecipazione”, le quali sono state designate per imporre il silenzio e la sottomissione alla gente citata in giudizio. “Migliaia di slapps (ingiunzioni di questo tipo) nelle ultime due decadi sono stati archiviate, decine di migliaia di americani sono stati slappati (colpiti da queste denunce), e molti di più sono stati ridotti al silenzio con le minacce”, scrivono i professori di legge Gerorge Pring e Penelope Canan, nel loro libro pubblicato nel 1996, Slapps: Getting Sued for Speaking Out. “I denuncianti poi raramente emergono come vincitori in tribunale, tuttavia risultano spesso vincitori nel mondo reale raggiungendo i loro obiettivi politici. Abbiamo appurato i denunciati, che poi combattono, raramente perdono in tribunale, nonostante siano frequentemente distrutti, depolicizzati e scoraggiano in seguito gli altri dal parlare apertamente – “raffreddano” l’uso del Primo Amendamento.” [George W. Pring And Penelope Canan, SLAPPs: Getting Sued for Speaking Out (Philadelphia, Temple University Press: 1996), p. xi]
Se lasciamo che sia l’industria a stabilire le regole del dibattito, non ci sarà letteralmente limite a quello che dovremo mandar giù.
I denunciati sono anche spesso messi sul lastrico per potersi difendere in tribunale, cosicchè queste cause non solo gli attivisti verso tutt’altri impegni (ossia difendersi n.d.t.)
“Più a lungo si può protrarre la causa… più vicino è il successo dello slapp (ossia una causa intenta per mettere a tacere le proteste n.d.t.)”, osserva il giudice della corte suprema di New York, Nicholas Colabella. “Coloro che non dispongono di risorse finanziarie, e che non hanno una resistenza emozionale [adeguata] per terminare il ‘gioco’ devono affrontare la difficile scelta di un difensore preparato o tornare indietro ed accordarsi col denunciante… . Una specie di pistola puntata alla testa, una grande minaccia al Primo Emendamento.” [Gordon vs. Marrone, NY Supreme Court decision, 1992]
Il potere ai querelanti: essere citato per quello che faccio non per quello che dico
Le cause intentate dalle multi hanno portato un formidabile potere a governi e industria per sopprimere le opinioni della gente che si lamenta del sistema.
Ironicamente, l’industria delle pubbliche relazioni utilizza queste legislazioni come soluzioni populiste a problemi del troppo governare [ossia del problema delle persone che non tacciono e obbediscono, ma vogliono sapere cosa mangiano etc.].
In accordo con Tom Holt, socio del Capital Research Center, le riforme sono necessarie per rendere più difficili le citazioni in giudizio delle corporazioni perché “il movimento dei consumatori ha imposto costi significativi all’industria – costi che alla fine si riversavano sul consumatore – e ha violato le libertà individuali in un futile sforzo per proteggerci dalle nostre proprie azioni e giudizi”.[Capital research Center website advertisement for The Rise of the Nanny State]
Per ripristinare quelle libertà, Holt sta richiedendo nuove leggi in modo che le corporazioni possano citare in giudizio, censurare e punire i loro nemici con più efficacia. “Possono essere le citazioni in giudizio un rimedio ad una scienza che perde colpi?”, chiese, nel 1995 in un articolo su Priorità, la pubblicazione mensile del gruppo di avvocati di destra di Elisabeth Whelan, al consiglio Americano sulla scienza e sulla salute.
Holt si lamentava che la legge attuale “è stata l’ostacolo maggiore alla preparazione di una causa proposta dai Washington Apple Growers contro il Concilio per la Difesa delle Risorse Nazionali, provocatori della malattia di Alar. I Growers inizialmente iniziarono il processo presso la Corte Superiore nello stato di Yakima County (Wash.); ma… persero la causa.
Fortunatamente, aggiunse “il commercio agricolo sta ritornando alla lotta, portano avanti quelle che sono conosciute come leggi contro la diffamazione dei prodotti agricoli attraverso le legislature di stato…. A livello nazionale, l’Associazione Nazionale del Dipartimento di Stato dell’Agricoltura fallì nel suo tentativo di inserire tali proposte nella legge del 1995.
La carne in questione
Non sorprende, dato il suo disastroso risultato su responsabilità e sicurezza, che l’industria della carne stia cercando attualmente di tagliare le difese al consumatore. Principalmente sotto accusa è l’ente non-profit, Animal Industry Foundation, (AIF) che si definisce “voce collettiva della agricoltura animale sugli alimenti di derivazione animale, i sui effetti sulla dieta e sull’ambiente e i suoi contributi sulla qualità della nostra vita”. I fondatori dell’AIF rappresentano le grandi aziende di pubbliche relazioni: Burson-Masteller and Hill & Knowlton. I suoi fiduciari rappresentano il Who’s Who (i nomi più importanti) dell’industria alimentare e delle associazioni di commercio: American Farm Bureau Federation, American Feed Industry Association, American Sheep Industry Assiociation, American Society of Animal Science, American Veal Association, National Broiler Council, National Cattleman’s Beef Association, National Milk Poducers Federation, National Park Producers Council, National Turkey Federation, Southestern Poultry & Egg Association and United Egg Producers.
Piùttosto che spingere verso una legislazione a livello nazionale, l’industria alimentare ha lavorato passo dopo passo per evitare un controverso dibattito nazionale. “Il modello per questi statuti fu sviluppato dalla American Feed Industry Association” riportava con vanto un volantino dell’AIF. “Se desideri avere una copia del modello di legge, invia una richiesta scritta all’attenzione di Steve Kopperud in AFIA”. [Newsletter della Animal Industry Foundation, v.7, n. 3 (Maggio/Giugno 1994).]
AIF divide infatti lo stesso indirizzo, numereo telefonico, e personale con l’AFIA – l’American Feed Industry Association, “una associazione di commercio nazionale che rappresenta la fabbricazione del più del 70% della formula alimentare primaria utilizzata per il bestiame e i polli annualmente venduti.”
Una lettera scritta da Kopperud al Consumatore è un modello di bis-pensiero.
In essa, difese la logica industriale che sta dietro le leggi alimentari sulla diffamazione, enunciando che queste “non reprimono i discorsi liberi, ma anzi fanno sì che un oratore rifletta due volte prima di pronunciare affermazioni opportunistiche o false e quindi limitano il danno che certa retorica possa provocare…. Le leggi sulla diffamazione alimentare, sono mezzi per rendere più oneste le nostre discussioni sulla sicurezza alimentare, sono le ultime difese del consumatore.”
La AIF parla più chiaramente negli scritti rivolti agli agricoltori: “i diritti animali degli attivisti…. minacciano la sopravvivenza degli agricoltori e dei ranchers …. é tempo di tornare alla lotta… attraverso annunci, programmi per la scuola elementare, pubblicazioni e video, creare nuovi media ed effettuare ricerche sulla pubblica opinione.”
Termini del dibattito
Con un tale arsenale a propria disposizione, l’industria alimentare ha certamente abbastanza potere perché la sua voce venga fortemente ascoltata nei dibattiti sulla sicurezza alimentare, ma non sembra sentire di avere abbastanza potere. Sarebbe conveniente, dal punto di vista dell’industria, proteggersi dalla “isteria, dal panico e dall’instabilità” e se si potesse, limitare il dibattito agli esperti con misure di censura così come fanno “le leggi di diffamazione alimentare.”
La malattia della mucca pazza, comunque, è solo uno dei molteplici esempi che sta ad indicare che l’industria moderna alimentare sta manomettendo la natura che non comprende. “La BSE rappresenta la Chernobyl della sicurezza alimentare” scrive Nicola Fox nel suo nuovo importante libro, Spoiled: The Dangerous Truth About Food Chian Gone Haywire. “Così come il peggior disastro nucleare ha trasformato il sentire pubblico su che senso abbia produrre elettricità in un modo che ha la potenzialità di creare danni per lungo tempo, la BSE ha causato un grosso colpo alla pratica della agricoltura intensiva, alla distribuzione mondiale dei prodotti agricoli, e alla richiesta di alimenti a basso costo”. Sottolinea i danni inerenti la creazione di una divisione fra scienza medica animale e umana e la supposizione che non siano direttamente collegate. Sottolinea anche l’errore intrinseco nell’affidare la sicurezza alimentare a quelle agenzie governative, che allo stesso tempo devono proteggere l’industria agricola” [Nicola Fox, Spoiled: The Dangerous Truth About Food Chian Gone Haywire.(NY: Harper Collins, 1997), p. 331.]
Il dibattito su tale materia ha bisogno di coinvolgere molto di più che le sole voci dell’industria e dei suoi esperti designati. Se lasciassimo stabilire all’industria le regole del dibattito, non ci sarebbe letteralmente nessun limite per quello che dovremo mandar giù, e l’incubo della malattia della mucca pazza – o qualcosa di altrettanto dannoso se non addirittura peggiore – non solo potrebbe verificarsi di nuovo ma è quasi certo che accadrà.
Sheldon Rampton e John Stauber (autori di “Mad Cow USA”) – tratto da tmcrew.org – dossier Mucca Pazza da Macrolibrarsi