Il Veganismo come scelta di civiltà
22 maggio 2002Chi non è sensibile alle sofferenze animali o non si cura della propria salute, non dovrebbe dimenticare che il veganismo rappresenta la scelta più coerente per chiunque desideri tutelare l’ambiente, il Terzo Mondo e il nostro futuro.
Il consumo di latte e carne è una causa primaria della fame nel mondo: soltanto ai bovini allevati a scopo alimentare, viene attualmente destinata una quantità di proteine vegetali nobili pari al fabbisogno calorico di 8,7 miliardi di umani – più dell’intera popolazione mondiale. Ciononostante, solo il 20% delle risorse utilizzate nel settore agricolo dai Paesi ricchi è attualmente impiegato per la produzione di vegetali direttamente consumabili dagli uomini, mentre il restante 80% serve al nutrimento degli animali allevati. Secondo lo “State of the world” del World Watch Istitute, se soltanto gli Stati Uniti diminuissero della metà il consumo di carne, anche senza andare verso il veganismo, ogni anno risparmierebbero 105 milioni di tonnellate di cereali: una quantità sufficiente a nutrire i 2/3 dell’India.
Destinando un ettaro di terra all’allevamento bovino, è infatti possibile ottenere in un anno solo 66 Kg di proteine, mentre destinando il medesimo terreno alla coltivazione di soia si possono produrre, nello stesso tempo, 1848 Kg di proteine, cioè 28 volte di più (2). Per consumo di risorse, latte e carne sono indiscutibilmente i “cibi” più dispendiosi, inefficienti e inquinanti che si possano concepire: oltre alla perdita di milioni di acri di terra coltivabile, gli allevamenti consumano una quantità d’acqua otto volte maggiore di quella necessaria per coltivare soia, cereali, o verdure (dato che gli animali allevati devono bere e le messi con cui vanno nutriti devono essere irrigate).
Nel trasformare vegetali in proteine animali, va sprecata un’ingente quantità delle proteine e dell’energia contenute nei vegetali – che devono sostenere il metabolismo degli animali allevati (producendo tessuti non commestibili come ossa, cartilagini e frattaglie) e vengono eliminate tramite le feci. La metà della produzione cerealicola mondiale attualmente destinati agli animali d’allevamento rende necessario il ricorso a grandi quantità di concimi e pesticidi, che danneggiano irreparabilmente i terreni, contaminano sia falde acquifere che corsi d’acqua ed inquinano l’aria. Bisogna inoltre considerare le deiezioni degli animali allevati: riversate in fiumi e mari, causano eutrofizzazione ed asfissia; in Italia gli animali da allevamento ne producono annualmente circa 100 milioni di quintali, ad alto contenuto di metalli pesanti, che possono provocare fitotossicità, con grave inquinamento da nitrati e nitriti per le falde acquifere (3).
Le conseguenze più drammatiche del consumo di latte e carne si verificano nel Terzo Mondo: il disboscamento operato per far posto agli allevamenti destinati a fornire proteine animali all’Occidente ha distrutto in pochi anni oltre 10 milioni di ettari di foresta pluviale. Nella foresta Amazzonica l’ 88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo (4), circa il 70 % delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in pascoli mentre, a partire dal 1960, oltre un quarto delle foreste centroamericane sono state distrutte per dare spazio agli allevamenti (5). Il continuo accorciamento dei maggesi non lascia al suolo il tempo di rigenerarsi, accentuandone l’erosione.
Ne conseguono sia frane ed inondazioni, che una diminuzione dell’approvvigionamento delle falde, che a loro volta provocano desertificazione, disarticolazioni idrogeologiche e siccità ricorrenti. La produzione intensiva richiede impressionanti quantità di energia: per ogni Kg di carne di manzo occorrono un litro e mezzo di combustibile fossile – il cui impiego aumenta l’emissione di gas serra (6) – e quindici metri cubi di acqua. Se per ottenere un Kg di farina sono sufficienti circa 22 g di petrolio, per produrre un Kg di carne è necessario impiegarne ben 193 g (quasi 9 volte tanto) (7), per produrre 1 kg di carne di maiale, ad esempio, sono necessari 3,1 kg di cereali, 1,6 l di benzina e 1625 l di acqua.
Il rendimento energetico delle proteine animali, infine, è bassissimo: bisogna investire in media 7 calorie vegetali per la produzione di 1 caloria di carne. In altre parole: un ettaro coltivato a patate permette di ottenere 102.080 Mj di energia, un ettaro coltivato a riso 87.768 Mj, mentre un ettaro di terreno destinato all’allevamento di manzo permette di ottenere soltanto 4.796 Mj di energia, mentre lo stesso spazio adibito all’allevamento di pollame permette di ottenere 7.056 Mj (8).
Da quanto esposto, dovrebbe infine risultare chiaro come, in una prospettiva vegana, secondo il veganismo, le pratiche agricole potrebbero consentire l’autosufficienza alimentare dell’umanità, contribuendo notevolmente all’equilibrio economico delle nazioni.
Plan
(2) “The year the world caught fire”, rapporto del WWF International, Dic. 1997.
(3) Roberto Marchesini, Oltre il muro: la vera storia di mucca pazza, Muzzio Ed.
(4) “The year the world caught fire”, rapporto del WWF International, Dic. 1997.
(5) Catherine Caulfield, “A Reporter at Large: The Rain Forests,” New Yorker, January 14, 1985, 79.)
(6) secondo Ernst U. v. Weizäcker del “Wuppertal-Institute for Climate, Environment and Energy” il contributo all’effetto serra dato dagli allevamenti è circa pari a quello dato dalla totalità del traffico degli autoveicoli nel mondo
(7) Le secteur agro-alimentaire face au probleme de l’energie, OCSE, Parigi 1982. Op. cit. in: J. Andrè, Sette miliardi di vegetariani, Giannone Ed.
(8) F. Caporali, Ecologia per l’agricoltura, UTET 1991.