Il Vegetarismo come scelta etica
17 maggio 2002Alle fondate ragioni salutistiche per evitare i prodotti animali, bisogna aggiungere la motivazione più frequente da parte delle persone che scelgono di non consumarne (in Italia si stima che siano almeno 2.900.000, il 15% delle quali vegan).E’ di ordine etico, basata sul riconoscere gli animali come esseri senzienti, dotati di valore intrinseco. Affinché l’attività di allevamenti, mangimifici, impianti di macellazione e catene di distribuzione risulti economicamente compatibile con i livelli produttivi richiesti dal mercato, è necessario che il prezzo di carne, latte e uova rimanga accessibile per il maggior numero possibile di consumatori. Per essere sostenibile, la zootecnia chimica e intensiva deve quindi massimizzare i profitti basandosi sul ribasso delle spese. A pagarne il costo sono innanzi tutto gli animali allevati, ai quali sono imposte situazioni di estrema sofferenza. Negli attuali allevamenti industrializzati, miliardi di animali destinati al macello sono costretti a vivere incatenati o chiusi in gabbie sovraffollate, incompatibili con le loro esigenze fisiologiche, privati della minima libertà di movimento, impediti nella pratica di istinti affettivi e sessuali, mutilati, sottoposti a costanti terapie antibiotiche ed ormonali (sia per prevenire l’esplosione di epidemie che per velocizzare la loro crescita), ad un’illuminazione ininterrotta che impedisce loro di dormire, nutriti con alimenti inadeguati, chimici e innaturali (fino ai casi delle mucche costrette al cannibalismo), costretti a respirare un’aria satura di anidride carbonica, idrogeno solforato, vapori ammoniacali, polveri varie e povera d’ossigeno. Gli animali sfruttati in questo modo, oltre a manifestare gravi patologie organiche e psicologiche (galline che si uccidono beccandosi fra loro, cannibalismo della madre verso i piccoli fra i conigli, suini che si divorano la coda), subiscono menomazioni e manipolazioni genetiche. Le mucche “da latte” sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall’età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un trauma), perché non ne bevano il latte, rinchiusi in minuscoli box, alimentati con una dieta inadeguata per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l’ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastiti (una dolorosa infiammazione delle mammelle). Per aumentare la produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma neppure queste spesso sono sufficienti: in questo caso, la mucca è costretta a lacerare i tessuti del suo corpo per soddisfare la continua richiesta di latte (in Inghilterra hanno coniato un termine per definire questa pratica:”milking off the cow’s back”, ossia mungitura del posteriore della mucca). Ciò provoca una condizione chiamata acidosi, che può renderla zoppa – come avviene ogni anno al 25% delle mucche sfruttate nei caseifici. A circa cinque o sei anni d’età, esausta, verrà macellata. La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni. Per la produzione di uova, le galline sono costrette (fino a gruppi di quattro) in gabbie delle dimensioni di un foglio A3. Le loro ali si atrofizzano a causa dell’immobilità forzata; crescendo a contatto della griglia di ferro della pavimentazione, le loro zampe crescono deformi. Per aumentare il profitto, molti allevatori le manipolano geneticamente, destinandole a soffrire ulteriormente, a causa di dolorosi disturbi ossei e difetti della spina dorsale. Appena nati, i pulcini maschi (inutili al mercato in quanto non in grado di produrre uova) sono gettati vivi in un tritacarne, o soffocati in buste di plastica, o schiacciati in apposite macchine per diventare mangime, mentre a quelli femmina viene tagliato il becco per impedire loro di beccare a morte i compagni. Questa procedura, che comporta il taglio di tessuti teneri simili alla carne che gli umani hanno sotto le unghie, è così dolorosa che molti pulcini muoiono per lo shock. Non appena la produttività delle galline diminuisce sotto il livello fissato, sono sgozzate per diventare carne di seconda scelta. La morte degli animali allevati è preceduta da trasporti lunghi ed estenuanti verso i mattatoi. Stipati nei camion, senza potersi muovere, senza poter bere o mangiare, soffrendo il caldo o le intemperie, arrivano al macello in gravi condizioni di stress, spesso così debilitati da non riuscire nemmeno ad alzarsi. Qui, a causa della rapidità delle linee di macellazione (fino a 400 capi all’ora ognuna) spesso non sono storditi in maniera corretta e sono quindi coscienti quando viene loro tagliata la gola, quando sono scuoiati, decapitati, squartati, o quando giungono nell’acqua bollente delle vasche di scottatura. Un operaio di un macello, nel corso di un’intervista, ha dichiarato che almeno il 15 % degli animali muore ogni giorno “pezzo dopo pezzo”, roteando gli occhi e muovendo la testa (alcuni suoi colleghi usano protezioni da hockey per non subire gravi lesioni dagli animali agonizzanti).
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