L’incremento numerico degli animali da allevamento
2 maggio 2002Sulla spinta della crescente richiesta di carne, latte e uova, la popolazione mondiale di mucche, maiali, pecore, capre, polli e altri animali d’allevamento è molto cresciuta a partire dalla metà del secolo scorso (tabella 1)1.
Il numero dei quadrupedi di interesse zootecnico presenti sulla Terra è aumentato del 60% dal 1961, da 3,1 a 4,9 miliardi, mentre quello dei volatili d’allevamento si è pressoché quadruplicato, passando da 4,2 a 15,7 miliardi.2
Eppure, persino questo sorprendente record di crescita non rappresenta adeguatamente l’entità dell’impatto che questi animali hanno sul consumo di risorse e sull’ambiente, dal momento che, a seconda del sistema di produzione adottato, in un solo anno possono essere allevate e abbattute diverse generazioni di animali. Per esempio, benché il loro patrimonio zootecnico, calcolato in un qualsiasi momento, sia pari alla metà di quello del Brasile, gli Stati Uniti producono ogni anno un quantitativo di carne bovina che è quasi il doppio.3 Al contrario dell’allevamento al pascolo praticato in Brasile, i sistemi americani – che prevedono la somministrazione intensiva agli animali di cereali, antibiotici e ormoni – riducono in modo drastico il tempo necessario perché gli animali raggiungano un peso che li rende commercializzabili.
Tra le principali specie da reddito, il numero delle pecore ha avuto un aumento modesto, quello dei bovini è cresciuto del 40%, mentre maiali e capre sono più che raddoppiati.4 Per quanto concerne la loro distribuzione geografica, l’India conta la popolazione di bovini più numerosa (220 milioni di capi su un totale mondiale di un miliardo e 300 milioni)5, in Cina vivono circa la metà dei 905 milioni di maiali del pianeta6, in Africa e nel Medio Oriente dove i ruminanti di piccole dimensioni sono gli animali d’allevamento più diffusi è concentrato il 40% del miliardo e 800 milioni di pecore e capre7, e la Nuova Zelanda ha il rapporto di pecore esseri umani più alto del mondo(12:1).8
I polli, che richiedono meno spazio e risorse rispetto agli altri animali d’allevamento, hanno conosciuto l’aumento più cospicuo: il loro numero si è quadruplicato dal 1961.9 Quasi il 40% di essi si trovano negli Stati Uniti e in Cina.10 Le famiglie più povere, sia nelle zone rurali che in quelle urbane, dipendono in modo sproporzionato dai piccoli animali d’allevamento: polli, conigli, cavie.
Sono tre i sistemi zootecnici più diffusi. I sistemi misti – nei quali allevamento e agricoltura coesistono in stretta connessione – forniscono il 54% della carne e il 90% del latte prodotti in tutto il mondo.11 Tuttavia, queste tecniche stanno lasciando il campo alla produzione industriale o intensiva, che si caratterizza per la detenzione di un enorme quantità di animali in condizioni di segregazione e in zone distanti dai terreni che forniscono i foraggi, per i relativi gravi problemi di smaltimento dei reflui e per la sistematica violazione dei principi relativi al benessere animale.12 Gli allevamenti intensivi rappresentano il sistema di produzione in più rapida crescita, che fornisce il 43% del quantitativo globale di carne – era circa un terzo solo nel 1990 – che diventa più della metà per quanto riguarda la carne suina e il pollame.13 Benché finora concentrato nel Nord America e in Europa, questo metodo si sta diffondendo nelle zone prossime ai grossi centri urbani in Brasile, Cina, India, Filippine e in altre regioni in via di sviluppo.14
L’allevamento a pascolo, che pure occupa una superficie maggiore, frutta soltanto il 9% della carne bovina e il 30% di quella di ovina prodotta in tutto il mondo.15 Questa produzione, il cui rendimento è apparentemente scarso, rappresenta probabilmente l’unico modo per ottenere prodotti alimentari dalle praterie aride del pianeta. Dal momento che i pascoli delle zone temperate sono stati generalmente sfruttati fino ai limiti di capacità (e oltre), il bestiame allevato al pascolo sta aumentando solo negli ambienti tropicali sub-umidi, che includono le praterie del sud-est brasiliano, dell’Africa occidentale e della parte orientale del subcontinente indiano.16
La coabitazione millenaria con gli animali d’allevamento ha procurato all’uomo sia benefici che costi. Si calcola che per 200 milioni di persone che vivono nelle regioni aride, come nell’Asia centrale e in buona parte dell’Africa, l’allevamento a pascolo costituisca l’unica fonte possibile di sostentamento.17 In mancanza di istituzioni bancarie, il bestiame rappresenta un’importante forma di investimento economico -i cui interessi si esprimono in termini di aumenti di peso e capacità riproduttiva degli animai – e una garanzia assicurativa contro i rischi dell’attività agricola.18 In complesso, i prodotti di origine animale rendono conto del 30-40% della resa economica globale del settore agricolo.19
In Asia, il letame fornisce l’equivalente di 750 milioni di dollari di fertilizzanti chimici.20 Gli animali partecipano inoltre con la propria forza lavoro alla coltivazione di almeno 320 milioni di ettari di terreno, vale a dire di un quarto della superficie agricola complessiva del pianeta e dell’80% dei terreni arati di Asia e Africa.21 Inoltre dove l’energia scarseggia, come nel subcontinente indiano, il letame riveste un ruolo fondamentale come combustibile per gli usi casalinghi e il riscaldamento.22
Allo stesso tempo, però, gli animali d’allevamento consumano una porzione cospicua delle risorse naturali della Terra, e se a volte convertono materiali che l’uomo non può consumare direttamente in forme commestibili (come erba e scarti alimentari), spesso entrano invece in competizione con le altre specie, uomo compreso.23 Il bestiame bruca un quarto dei pascoli del pianeta e consuma i raccolti di circa un quarto della superficie coltivata, sfruttando in totale più di due terzi della superficie terrestre destinata alla produzione alimentare.24
Ogni anno consuma approssimativamente il 37% della produzione mondiale di cereali, la maggior parte della soia e milioni di tonnellate di altri semi oleosi, radici, tuberi.25
I cereali vengono usati per il 14% dai bovini, per il 12% dai maiali e per il 9% dai polli.26 Il consumo totale è rimasto pressoché invariato, benché la produzione complessiva di carne abbia superato quella di cereali; questo è il risultato del globale orientamento verso maiali e polli, che convertono calorie con maggior efficienza rispetto ai bovini.
In particolare, via via che le popolazioni di animali da reddito sono cresciute, alcuni ecosisterni hanno subito delle trasformazioni radicali a causa dello sconvolgimento (fino all’eliminazione) da esse operato sulle altre forme di biodiversità.27 A partire dalla metà dei 20° secolo, il 20% della superficie mondiale a pascolo – circa 680 milioni di ettari – è stato degradato dallo sfruttamento eccessivo, che può compromettere la fertilità del suolo e quindi ridurre il numero di animati che il terreno è in grado di alimentare.28 Nell’America centrale e meridionale l’allevamento è responsabile di quasi la metà della perdita di superficie della foresta pluviale.29
L’allevamento intensivo, in particolare, si sta dimostrando la principale minaccia alla qualità del suolo, dell’aria e dell’acqua. Negli Stati Uniti, il bestiame elimina un quantitativo di scorie 130 volte superiore a quello prodotto dalla popolazione umana.30 L’eccesso di nutrienti generato dai 600 milioni di polli nella penisola di Delmarva è implicato nell’esplosione di alghe nocive verificatasi nella Chesapeake Bay, mentre in Olanda – il paese con la più alta concentrazione di animali d’allevamento – la sovrabbondanza di nutrienti ha trasformato le brughiere dotate di una certa biodiversità in monotone praterie.31
Inoltre, il bestiame è diventato la principale fonte di emissioni di gas-serra del settore agricolo, contribuendo per circa il 16% alla produzione globale complessiva di metano, un gas che è quasi 25 volte più potente dell’anidride carbonica.32
Mentre aumenta il numero degli animali d’allevamento, la loro diversità diminuisce. Nel mondo, delle 4000 razze di cui si dispongono dati relativi alle popolazioni, il 18% sono estinte e il 32% versano in condizioni di rischio.33 L’estinzione di razze domestiche ha subito un’accelerazione negli ultimi anni, da quando i sistemi produttivi semplificati del mondo industriale hanno cominciato a rimpiazzare sistematicamente i metodi di allevamento più complessi.34 Per fare un esempio, la razza Holstein rappresenta il 90% della popolazione di bovini da latte del Nord America.35
A livello globale, i prodotti animali forniscono circa il 15% dell’apporto energetico e oltre il 30% di quello proteico.36 Una combinazione di fenomeni, quali urbanizzazione, miglioramento delle condizioni economiche ed esportazione delle abitudini alimentari occidentali, ha quintuplicato il consumo di carne dal 1950 a oggi, portandolo da 44 a 232 milioni di tonnellate.37 Anche il consumo procapite è raddoppiato nello stesso periodo, benché i 77 chilogrammi a testa consumati in media nel mondo industrializzato rappresentino tuttora il triplo del quantitativo procapite dei paesi in via di sviluppo.38
Note
1. U.N. Food and Agriculture Organization (FAO), FAOSTAT Statistics Database, , aggiornato il 27 ott. 2000.
2. Ibid.
3. Ibid.
4. Ibid.
5. Ibid.
6. Ibid.
7. Ibid.
8. Ibid.; Population Reference Bureau (PRB), “2000 World Population Datasheet”, tabella, Washington (DC), giu. 2000.
9. FAO, op. cit. alla nota 1.
10. Ibid.
11. Cees de Haan et al., “Livestock & the Environment: Finding a Balance”, report di uno studio coordinato da FAO, U.S. Agency for International Development e World Bank, Bruxelles 1997.
12. Ibid.
13. Ibid.
14. Janice Cox e Sari Varpama, The “Liìvestock Revolution” Development or Destruction?, Hants (UK), Compassion in World Farming, set. 2000.
15. De Haan et al., op. cit. alla nota 11. Questa cifra include solo gli animali allevati esclusivamente al pascolo, senza apporto di mangime o fieno. Anche in nazioni come gli USA, che dipendono largamente dagli allevamenti intensivi, la maggioranza dei ruminanti passa, comunque, parte della propria vita sui pascoli liberi.
16. De Haan et al., op. cit. alla nota 11.
17. Ibid.
18. Ibid.
19. FAO, “One Third of Farm Animal Breeds Face Extinction’, conferenza stampa, Roma, 5 dic. 2000.
20. De Haan et al., op. cit. alla nota 11.
21. Ibid.
22. Ibid.
23. Ibid.
24. Ibid.
25. Ibid.; U.S. Department of Agriculture, Production, Supply, and Distribution, database elettronico, Washington (DC), aggiornato nel dicembre 2000.
26. Council for Agricultural Sci’ence and Technology, Animal Agriculture and Global Food Supply, Ames (IA), lug. 1999.
27. De Haan et al., op. cit. alla nota 1l.
28. Christopher Delgado et al., Livestock to 2020: The Next Food Revolution, Washington (DC), International Food Policy Research Institute, mag. 1999.
29. De Haan et al., op. cit. alla nota 11; Delgado et al., op. cit. alla nota 28.
30. U.S. Senate Committee on Agriculture, Nutrition, & Forestry, “Animal Waste Pollution in America: An Emerging National Problem”, report preparato per il Senatore Tom Harkin, dic. 1997.
31. Peter S. Goodman, “An Unsavory Byproduct”, Washington Post, 1 ago. 1999; dati sull’Olanda da FAO, op. cit. alla nota 1.
32. De Haan et al., op. cit. alla nota 11.
33. FAO, op. cit. alla nota 19.
34. Ibid.
35. De Haan et al., op. cit. alla nota 11; Mark Derr, “Vanishing Livestock Breeds Leave Diversity Gap” , New York Times, 14 nov. 2000.
36. FAO, op. cit. alla nota 1.
37. Ibid.
38. Ibid.; PRB, op. cit. alla nota 8.
Worldwatch Institute (a cura di), I trend globali 2001. Futuro, società e ambiente.
Selezione da Vital Signs 2001 (ediz. italiana a cura di Bologna, Gianfranco), Edizioni Ambiente, Milano, 2001, pp. 44-45 e p. 106. – da Macroedizioni.it