Progetto di legge per la scelta vegetariana nelle mense
12 luglio 2002
Proponiamo in queste pagine la relazione introduttiva al progetto di legge su “Norme per garantire l’opzione per la dieta vegetariana nelle mense e nei luoghi di ristoro pubblici e privati”, presentato nei giorni scorsi da Carla Rocchi, deputata de La Margherita.
Il nostro progresso spirituale ci farà smettere di uccidere gli animali per nutrirci” scrisse Gandhi, il padre della non violenza.
Nella Genesi del Vecchio Testamento si legge: “Poi Dio disse: ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la Terra e ogni albero in cui è il frutto che produce seme, saranno il vostro cibo”.
Filosseno di Mabbug, scrittore cristiano del V-VI secolo scrisse: “Procura d’esser magro, per passare dalla porta stretta, bevi acqua per bere la scienza, nutriti di vegetali per essere esperto dei misteri; mangia con moderazione per amare senza misura; digiuna per vedere. Chi mangia vegetali e beve acqua, raccoglie visioni e rivelazioni celesti, la scienza dello spirito, la sapienza divina e la rivelazione delle verità nascoste (…)”.
Attraversando i secoli a grandi balzi giungiamo ai giorni nostri ed al Premio Nobel per la medicina del 1975, Renato Dulbecco, che asserisce: “Ho adottato una dieta vegetariana e la consiglio come misura dietetica antitumorale”. Dello stesso avviso si dichiara il professor Umberto Veronesi. Le persone che, per una ragione o per l’altra, hanno adottato una dieta vegetariana sono, in Italia, diverse centinaia di migliaia. Un piccolo esercito in costante crescita profondamente discriminato che non gode, a tavola, di alcun diritto. I vegetariani infatti vengono trattati ancora come stravaganti e folkloristici individui che si privano delle gioie del palato, delle delizie della carne. Insomma una sorta di masochisti un po’ folli. La manifestazione culturale ed i comportamenti sociali delineati da media e consumismo hanno indotto una preoccupante ignoranza anche in campo alimentare, in un Paese che si distingue proprio per la gran varietà della propria cucina tradizionale e regionale.
La “grande abbuffata” degli anni ’80 ha assordato le nostre orecchie con il rumore di auto di grossa cilindrata, di banchetti a base di cacciagione e porchetta, tintinnii di coppe di champagne e rampanti grida in borsa. Tutto questo rumore sub-culturale, amplificato dalle televisioni, ha sovrastato la nostra capacità di captare le cose semplici, parche e naturali. L’eccesso, l’accumulo hanno provocato il colesterolo nelle vene della nostra società, narcotizzando la capacità di pensare agli altri, di limitarsi all’ambito del necessario. Abbiamo vissuto la politica e l’economia del superfluo, restringendo l’orizzonte della nostra conoscenza alla tavola imbandita di ogni bene, sordi ai lamenti di sofferenza di chi da quel tavolo non riusciva che a sgraffignare qualche briciola o neppure quella. La crisi incombente in casa nostra, la bomba demografica e le raccapriccianti urla di disperate orde fameliche che premono alle frontiere esclusive del benessere stanno forse contribuendo a rispalancare le obese palpebre. L’alimentazione vegetariana consentirà a tutti gli esseri umani di cibarsi, mentre quello dei carnivori rimane a tutt’oggi un esclusivo club ristretto e ingordo. La malsana opulenza carnivora ha falsato i gusti alimentari degli italiani e l’odierno consumo di carne risponde non ad esigenze dietetiche bensì all’arroganza di un mercato drogato che impone, tramite i media, i propri bisogni commerciali ai consumatori. Ma quando mai si è visto nelle famiglie italiane mangiare carne due volte al giorno? Solo la scellerata e aleatoria opulenza degli anni ’80 ha consentito un simile spettacolo, la gran quantità di carne, pesce e insaccati nei nostri piatti ci ha fatto perdere familiarità con l’infinita varietà della dieta mediterranea. Tanto che oggi al vegetariano, ritenuto un mero divoratore di mozzarelle, capita non di rado sentirsi dire: “ma …tu cosa mangi?”.
Entrando nel vivo della scelta vegetariana, sono sostanzialmente tre le ragioni che inducono alla opzione vegetariana:
1) motivazioni di ordine etico;
2) tutela della propria salute e prevenzione delle malattie;
3) contributo alla risoluzione del problema della fame nel mondo.
Le motivazioni etiche si fondano sui princìpi della non violenza, della coesistenza pacifica e rispettosa delle altre creature. Pur senza addentrarci nei numerosi anfratti di un fenomeno in continua crescita come quello dell’animalismo, si possono citare alcuni illustri esempi che ci forniscono la chiave di lettura di una sensibilità e di una cultura per certi aspetti rivoluzionarie. Il rispetto e la considerazione per gli altri animali non è certo tema o scoperta dei giorni nostri. Nel Vangelo della pace e nel Vangelo dei dodici apostoli (ritenuti dall’establishment vaticano “apocrifi” ma anteriori ai quattro vangeli canonici) è riportata la frase di Cristo: “Gli animali sono vostri fratelli e sorelle. Chi si prende cura di loro si prende cura di Cristo. Chi li maltratta lo fa soffrire”. Su questo tema, come sul Cristo vegetariano, la teologia si divide. Certo è che lo scritto, eventuale “apocrifo”, risale comunque a circa duemila anni fa.
Significativo è l’esempio fornitoci dal movimento religioso dei Perfetti catari diffusosi in Occitania (Europa occidentale) nel secolo XI, che adottò dieta vegetariana (o meglio vegana, escludendo anche latte e uova), vita povera e semplice.
Questi precursori di San Francesco (che sicuramente lesse i Vangeli tradotti in volgare dai catari durante la prigionia sotto i perugini) furono ben presto additati dalla Chiesa come “eretici” e perseguitati. Essi scrivevano: “Dovete capire che bisogna amare Dio con verità (…) Bisogna inoltre che facciate a Dio la promessa che non commetterete mai omicidio, che mai scientemente e volontariamente mangerete formaggio, latte, uova, né carne di uccello, di rettile, di animale proibita dalla Chiesa di Dio”. Nel 1144 a Liegi e nel 1163 a Colonia vi furono i primi roghi di catari vegetariani. Il Papa Innocenzo III scatenò una vera e propria crociata contro i catari condotta nel 1209 dal cavaliere Simon de Montfort. Da allora questi “eretici” furono identificati principalmente per la loro dieta vegetariana inducendo nella Chiesa ufficiale timore e diffidenza verso chiunque rifiutasse cibo di provenienza animale. Passando dalla religione alla scienza troviamo altri illustri esempi.
Pitagora scrisse che “quelli che uccidono gli animali e ne mangiano la carne saranno inclini a massacrare i loro simili”. Fino ad oggi però da Pitagora abbiamo accettato in eredità solo i teoremi matematici.
Leonardo da Vinci disse a sua volta: “Tempo verrà in cui la nostra specie giudicherà l’uccisione di qualsiasi animale alla stessa stregua della soppressione di un uomo”.
Uno dei più accreditati uomini di scienza del nostro tempo, l’oncologo Umberto Veronesi, scrive: “Lo specismo connota nei riguardi degli animali un atteggiamento non dissimile da quello tipico del razzismo nei riguardi delle altre razze umane. Così se centocinquanta anni fa, che un bianco uccidesse (o torturasse) un negro senza ragione, poteva sembrare un fatto complessivamente accettabile nella morale corrente di allora, oggi che un essere umano uccida un animale non umano, senza ragione è per la maggioranza degli uomini un fatto accettabilissimo”. Schierandosi decisamente sul fronte vegetariano, Veronesi continua: “Non penso che una persona sensibile ai problemi della sofferenza negli animali di laboratorio possa rimanere insensibile al trattamento crudele cui sono sottoposti gli animali di allevamento, considerati ormai delle “macchine di trasformazione” di una merce. Anche la pratica della macellazione risveglia un senso di ripugnanza, nel vedere come l’animale viene inizialmente solo stordito, poi sgozzato e infine fatto morire per dissanguamento”.
Esclusi gli animali di mare che, in quanto più muti dei loro colleghi di terra, vengono calcolati in quintali (più di 4 milioni di quintali di pesci pescati ogni anno in Italia), le cifre del gran macello italico annuale si aggirano sul mezzo miliardo di animali (tra cui polli, ovini, suini, caprini, bovini ed equini). Un rapido excursus nel poco conosciuto mondo degli allevamenti in batteria, dei macelli e delle raffinatezze gastronomiche può dare un’idea del perché, generalmente, chi entra in uno di questi luoghi cessa, a meno che non sia Attila, di mangiare carne. Il patè de foie gras viene ottenuto ingozzando fino allo stremo, con l’ausilio di imbuti, le oche per ottenere un fegato rigonfio. L’aragosta bollita o arrostita viva soffre come qualsiasi altro animale. Provate a scottarvi un dito e riflettete su cosa avviene in quella pentola. E’ una morte lenta e atroce. Sarebbe molto più civile decapitare prima l’animale.
Negli allevamenti in batteria i polli sono in quattro o cinque in circa mezzo metro quadro di spazio disponibile. Siano essi “da carne” o galline ovaiole, l’immobilismo nella gabbia induce al frenetico cibarsi per l’ingrasso e ad una innaturale produzione di uova. Onde non rischiare di danneggiare la “merce”, ai polli viene smussato il becco con una apposita forbice. Non tutti i pulcini che nascono nei forni dalle uova fecondate sono sani o desiderati. Quelli che non hanno le caratteristiche richieste finiscono ancora vivi nel trita gusci. Un giornalista, tale Martin Speich, in merito ad un allevamento di galline ovaiole scrisse: “Davanti, nel contenitore, tre uova; il quarto oggi non c’è; la macchina che le produceva è andata definitivamente fuori uso; i suoi resti giacciono sul fondo in rete. Gli occhi chiusi, il becco semiaperto, verso il basso, come se volesse ancora mangiare; sono ben miseri resti, spoglie di una macchina il cui compito era mangiare, defecare e produrre uova. Come lei, altre migliaia di macchine in questo stabilimento. La rottura di una di esse, nella gabbia 52, fila centrale, blocco a sinistra, non ha praticamente alcuna influenza nella spettrale attività che si svolge nelle altre 1.300 gabbie. Le urla di dolore degli animali beccati, calpestati e schiacciati dagli altri fanno parte del rumore di fondo di questa fabbrica animale, come il ronzio delle ventole, il crepitio delle migliaia di zampe che raschiano sul fondo in rete, lo schiamazzo continuo”.
Quando giunge il momento della morte liberatoria, polli e galline vengono appesi per le zampe e inviati con un nastro trasportatore alla ghigliottina. Mentre molti Paesi europei hanno dimensioni minime per le gabbie (l’Olanda dal 2004 non avrà più batterie, la Svizzera le ha abolite nel 1991), in Italia non si scorge all’orizzonte alcun cenno di speranza e civiltà in tale senso.
L’orizzonte dei maiali negli allevamenti intensivi non è molto più ampio, restringendosi alle sbarre di una cella che consente solo il cambiamento della posizione da eretta ad accucciata. L’animale rinchiuso in gabbie singole non può muoversi, grufolare, grattarsi, farsi aiutare nella pulizia dai compagni.
Le 15.000 papille gustative che possiedono i maiali devono accontentarsi di papponi molli atti all’ingrasso. Non una variazione, non un filo d’erba. Negli stabilimenti con più di 500 capi aumentano notevolmente malattie polmonari e cardiache. Gli animali spesso sono legati alle sbarre e ciò li induce a non alzarsi nemmeno per defecare. Il mondo di un maiale, come quello di una mucca, di un vitello, di un cavallo, è costituito da pochi centimetri di cemento, acciaio e lamiera. Oltre allo stress, alle stereotipie, agli squilibri psichici, gli animali allevati in batteria soffrono di infiammazioni articolari, artrite deformante, affezioni ai muscoli ed alle unghie che non essendo né consumate né tagliate, crescono a dismisura, torcendosi sotto la zampa o rientrando nelle carni.
E dire che in Olanda da più di 35 anni l’allevamento “Geelen” che commercializza carne di maiale con il marchio speciale “cresciuti in libertà” guadagna molto di più di qualsiasi altro concorrente.
In una relazione sull’allevamento, pubblicata su “Tierschutz” nel febbraio del 1987 si legge: “In un grande spazio verde, si vedevano maiali a perdita d’occhio. L’allevamento era strutturato in recinti di circa 1.000 metri quadri, in cui si trovavano una decina di femmine ed un maschio; ogni recinto era letteralmente tappezzato di erba ed in ognuno vi erano abbeveratoio e capanno, adeguatamente “arredato” con strame nonché un pezzetto di bosco; un sentiero attraversava i vari recinti e ad ogni recinto una femmina ci accoglieva festosamente; dato che eravamo verso sera i piccoli erano rientrati nelle capanne; avvicinandoci ad esse, vedevamo la porta, formata da una cappa di gomma, sollevarsi e 9-11 maialini correre strillando e saltellando verso la madre, per cercare protezione”.
Se la vita in libertà è decisamente diversa da quella infernale in batteria, la morte giunge comunque inesorabile per gli animali destinati a divenire carne o prosciutti. L’animale aspetta, in code interminabili, la conclusione del proprio triste e fugace passaggio terreno. Nell’attesa sente l’odore del sangue dei compagni che lo precedono, gli strilli, i lamenti e la puzza della morte. Per ogni animale da carne a quattro zampe è previsto lo stordimento con scarica elettrica e la fine con un colpo di pistola in mezzo agli occhi che fa giungere nel cervello un lungo chiodo. La fretta, il nervosismo e il pressapochismo di molti operatori fanno sì che non sempre tutto vada liscio, che l’animale non sia stordito, che non muoia subito, che agonizzi. In questi non rari casi il regista Dario Argento non riuscirebbe certo a fare di meglio.
Un problema a parte è costituito dai trasporti. Gli animali, tra cui gli intelligentissimi cavalli e le ipersensibili mucche, vengono fatti viaggiare come sardine per centinaia di chilometri stivati in TIR e navi. Sotto il sole, esposti al freddo, senza acqua e cibo per giorni, spesso bloccati alle frontiere, quasi sempre legati alle sbarre dei camion. Quando giungono ai luoghi di smistamento, ai mercati, ai fori boari molti hanno le zampe spezzate, le ferite da morsi non si contano, alcuni hanno partorito piccoli resi subito poltiglia da decine di zoccoli, altri sono morti di stenti. I maltrattamenti, le bastonate, l’impiego di corde alle zampe, di pungoli e arnesi elettrici rappresentano la norma nei mercati del bestiame.
Innanzitutto va smentita la presunta natura carnivora dell’uomo. L’uomo, come i suoi progenitori, è un tipico animale vegetariano. L’organismo dell’animale carnivoro tende ad espellere rapidamente le tossine di un alimento che inizia subito il processo putrefattivo: l’intestino dei carnivori è lungo tre volte il loro corpo, quello dei frugivori è lungo ben dodici volte il corpo. L’uomo, anatomicamente frugivoro, inizia a mangiare animali nella preistoria, durante il pleistocene, quando l’ultima glaciazione distrusse gran parte delle foreste (e quindi dei vegetali di cui si nutriva). L’uomo sconfinò nelle savane dove per sopravvivere fu costretto a uccidere e a divorare gli erbivori. Passata la preistoria l’uomo ha perso il pelo ma non il vizio… di mangiare carne. E’ bene sapere che la decomposizione della carne nell’intestino produce acido urico, urati, ptomaine, creatina, acido lattico, indolo, putrescina, scatolo ed altre tossine, costringendo fegato e reni ad un pluslavoro di smaltimento. La carne favorisce inoltre l’insorgere della gotta, crea ipertensione, pletora. E’ un alimento pressocché privo di glicidi, sali minerali e vitamine e favorisce trombosi, embolie, calcoli biliari, ipertrofia prostatica e fibromi uterini. A causa delle sostanze somministrate agli animali in vita, la carne contiene estrogeni, tra i quali il DES (dietilstiberolo, cancerogeno) cortisone, antibiotici, sulfamidici, antitiroidei, vaccini, anemizzanti, tranquillanti e ormoni vari (esemplare nel 1988 il caso dei bambini ai quali era cresciuto il seno perché avevano mangiato omogeneizzati di pollo e tacchino estrogenati).
Fra gli estrogeni più usati ed iniettati vi sono: progesterone, testosterone, 17 beta estradiolo e composti sintetici come il zeranolo, il trembolone ed il famigerato dietilstilbestrolo. Questi prodotti, in un mese di trattamento, sono capaci di fare aumentare il peso di un vitello da 200 chili di altri 30-40 chili. Il dottor Luciano Gregorio, del sindacato veterinari liberi professionisti, afferma: “I farmaci sono usati a piene mani per ingrassare artificiosamente gli animali in beffa ai divieti. Il mercato non consente spazio a chi ne fa a meno, quindi tutti li usano”.
Vietati, seppur senza effetti pratici in Italia, gli ormoni sono comunque consentiti in vari Paesi esteri. E poi importiamo il 60 per cento del consumo nazionale. I controlli presso gli allevamenti e le frontiere sono pressoché inesistenti e le industrie farmaceutiche produttrici delle sostanze chimiche atte a trattare le carni hanno raggiunto un giro di affari miliardario. Molti dati che indicano le necessità umane di assorbimento di proteine ed aminoacidi essenziali sono frutto di esperimenti sui ratti, ma poiché l’uomo non è un ratto, ha diversi parametri e differenti esigenze.
Ricercatori forse più professionali ed attendibili mettono in guardia da un eccesso di proteine nella dieta, poiché l’alimentazione iperproteica sovraccarica il sistema urinario predisponendo a malattie croniche degenerative. I sostenitori dell’alimentazione a base di carne agitano a guisa di bandiera la vitamina B12 presente nel fegato di vitello e nelle carni, utile come antianemico. Orbene, il fabbisogno giornaliero di vitamina B12 per un uomo adulto è stato fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalla FAO in 2 microgrammi al giorno. Tralasciando il fatto che il nostro fegato ha scorte sufficienti di vitamina B12 per anni, la preziosa sostanza si trova in quantità anche nel lievito di birra, nell’alga nori, nel mis, nel tamari (sono sufficienti 5-10 grammi di nori o mezzo cubetto di lievito per soddisfare l’esigenza quotidiana di B12). La carne contiene, a seconda dei casi, dal 14 al 20 per cento di proteine, mentre i formaggi vanno da un minimo del 25 ad un massimo del 45 per cento. Anche i legumi contengono notevoli quantità di proteine (lenticchie 24 per cento, soia 40 per cento). L’uomo nei primi sei mesi di vita raddoppia il proprio peso alimentandosi unicamente con il latte materno che contiene appena l’1,2 per cento di proteine. Con un tale alimento superiamo il periodo più impegnativo della nostra vita.
La carne se insaccata o inscatolata viene addizionata di nitriti di sodio, se “fresca”, per mantenere il colore rosso e non dare luogo al tipico marrone marciscente, viene integrata con solfiti e meta bisolfiti (prodotti chimici dannosi). La carne contiene inoltre le tossine sprigionate dagli animali al macello a causa del terrore e dell’agonia. Non si salvano dall’inquinamento gli animali d’acqua che diventano veicoli di prodotti tossici quali il mercurio, il piombo, il rame o di infezioni come le salmonelle e l’epatite virale. Secondo molti medici e scienziati, tra cui il professor Dulbecco, il professor Veronesi e i clinici americani Armstrong e Doll, la carne è cancerogena. Il professor Russel, nel saggio Notes on the causation of cancer scrive: “Ho rilevato che su 25 nazioni la cui popolazione è prevalentemente carnivora, diciannove registrano un’alta percentuale di cancro e soltanto una presentava una percentuale bassa, mentre su 35 nazioni ad alimentazione prevalentemente vegetariana, nessuna presentava una percentuale notevole di cancro”. Il Journal of the American Medical Association scrive che il 97 per cento delle malattie cardiache, che causano più della metà dei morti negli Stati Uniti, si poteva prevenire con una dieta vegetariana (dati confermati dall’American Hearth Association). I professori Iotekyo e Kipani dell’università di Bruxelles, hanno potuto dimostrare che i vegetariani riescono a protrarre alcune particolari prestazioni fisiche per un tempo doppio e talvolta anche triplo, rispetto ai carnivori, prima di accusare stanchezza e si riprendono dalla fatica in un quinto del tempo necessario agli altri. Nella lunga lista dei primati dei vegetariani vi è anche il caso di Hulda Crooks, 90 anni, che ha scalato per la ventiseiesima volta il Monte Whitney (4000 metri), negli USA (Paese Sera 12 agosto 1986). Il professor Marcello Ticca, dell’Istituto nazionale della nutrizione, ha presentato il 17 maggio 1992 la dieta piramide, molto simile alla dieta mediterranea, che prevede alla base, come elementi fondamentali, pasta, cereali, pane, latte, formaggio e patate, come cibi complementari frutta e verdura e in quanto cibi superflui carne, pesce e uova. In tutte le scuole statunitensi, norvegesi e svedesi viene adottata e diffusa la dieta piramide, anche al fine della educazione alimentare. La riconversione gastronomica dei Paesi del nord Europa e degli USA porterà, oltre che un’ondata di salute, un beneficio economico per l’industria alimentare e per la cucina italiana, basata sulla dieta mediterranea, anche se ultimamente imbastardita da hamburger e carni in scatola made in USA.
Se fossimo tutti vegetariani non ci sarebbe nessuno costretto a morire di fame poiché il cibo sarebbe sufficiente, anzi abbondante, per tutti gli abitanti del pianeta.
Le terre coltivabili e le foreste basterebbero a fornire cibo e vegetali a 25 miliardi di persone. Oggi siamo 5 miliardi e centinaia di milioni muoiono di fame nei Paesi poveri. Il nord ricco e industrializzato mangia carne, consuma risorse cerealicole o proteiche, inquina, distrugge foreste e degrada i suoli. Il 40 per cento dei cereali prodotti nel mondo serve a nutrire gli animali da carne. Negli USA la percentuale sale al 75 per cento. Per produrre un chilo di carne occorrono da 5 a 16 chili di cereali. Un sacco di grano “trasformato” in carne nutre un uomo, in pane ne nutre 7 ed in germogli ne nutre 20. Per produrre un chilo di carne di maiale occorrono 6 chili di vegetali, per un chilo di pollo venti di mangimi, per un chilo di manzo 7 di vegetali. Da 2.600 grammi di proteine vegetali si ottengono appena 220 grammi di proteine animali. In Brasile la superficie a soia per il bestiame è cresciuta da 15 a 55 milioni di ettari. Nel 1982 la produzione di soia per l’esportazione occupava 8,2 milioni di ettari, l’equivalente di farina per 40 milioni di maiali. Sfruttando la stessa superficie si potrebbero produrre fagioli neri ottenendo proteine per 35 milioni di persone o mais utile per 59 milioni di persone. Non che il “terzo mondo” non riceva cibo, lo riceve eccome. Per le nostre vacche e per i maiali occidentali. Secondo la FAO nel 1981 il 75 per cento dei cereali importati dai Paesi del terzo mondo vennero utilizzati come cibo per il bestiame destinato poi all’esportazione. In sostanza il 20 per cento della popolazione mondiale può concedersi il lusso di mangiare carne perché il restante 80 per cento patisce la fame e “rinuncia” alle risorse della terra che vengono destinate al bestiame. Poi parliamo di “fratellanza e solidarietà”.
Non basta, gli allevamenti, oltre ai fertilizzanti di sintesi, sono responsabili dell’80-90 per cento delle emissioni di ammoniaca che provocano le piogge acide.
In conclusione, chi mangia carne deve rendersi conto di che impatto umano ed ambientale ha la sua dieta. Persino il World Watch Institut ha lanciato l’allarme: “I carnivori stanno distruggendo la Terra.
Così non può durare, non c’è cibo a sufficienza per tutti”.
Chiudete pure occhi e orecchie quando scorrono in televisione le immagini dei bimbi somali, ma rammentate che ogni vostro boccone di bistecca sottrae un pasto intero ad uno di quei bambini. La fame nel mondo non è lontana, è in casa nostra perché siamo noi a crearla. Un esame di coscienza farebbe bene a tutti. E non vi è miglior metodo per sollecitare la coscienza e la riflessione che fornire spunti in tale senso. Recarsi in tutti i luoghi ove ci si ciba e trovare ovunque anche i piatti vegetariani indurrà molti uomini a riflettere sull’alimentazione non-violenta, sulla propria salute, sul terzo mondo, sulla sofferenza degli animali.
L’intento pratico e culturale della presente proposta di legge è quello di fornire ai vegetariani la possibilità di trovare ovunque piatti senza animali ed ai carnivori uno spunto di curiosità, riflessione ed approfondimento. L’attuazione della presente proposta di legge non comporta spese per alcuno ma solo l’adeguamento e la differenziazione delle abitudini alimentari.
[Carla Rocchi]
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