Il vegetarianesimo nella tradizione cristiana
2 agosto 2002Il cristianesimo ha una tradizione vegetariana ben definita, dai primi discepoli (Pietro e Matteo, Giovanni “fratello del Signore”, Giacomo “fratello del Signore”) a Clemente di Alessandria (150-210), Tertulliano (155-222)…
…, San Giovanni Crisostomo (IV secolo), San Basilio e San Benedetto (350 3 530), San Bruno e i suoi figli, San Enda, tutti vescovi dal 300 al 500, Sant’Alberto e tutti i carmelitani, Santa Teresa d’Avila, i cistercensi trappisti dal mille in poi, i cartusiani, Tatian e i suoi seguaci, gli aquariani, i manichei, i montanisti, gli ebioniti, gli apostolici, gli albigesi, i bogomili dal tredicesimo secolo al quindicesimo secolo. Più recenti sono i doukhobor, William Booth fondatore dell’Esercito della Salvezza, gli avventisti del Settimo Giorno, i francescani, gli appartenenti all’ordine della Croce, i membri della Liberal Catholic Church, della Edenite Society, della Biogenic Society, della tradizione rosacrociana, del Movimento Gnostico Universale.
Personaggi di grande rilievo nella cristianità moderna che furono accesi sostenitori del vegetarianesimo sono Ellen G. White (co-fondatrice della Chiesa Avventista del Settimo Giorno), John Wesley (fondatore dei Metodisti), Sylvester Graham (sacerdote Presbiteriano inventore dei cracker Graham), William Metcalfe (pastore della Chiesa cristiana biblica d’Inghilterra).
San Pio V condannò le corride considerandole spettacoli crudeli e vergognosi, più degni dei demoni che degli uomini, e Paolo VI non concesse alcuna udienza speciale ai toreri. Giovanni XXIII disse che se per realizzare un suo piano avesse dovuto uccidere una formica non lo avrebbe mai fatto. Anche Giovanni Paolo II ha affermato che l’uomo non deve mai maltrattare o torturare gli animali perché sono creature dotate di capacità di soffrire e sensibilità: in una lettera dell’11 novembre 1981 scrive “La vostra opera ecologica e zoofila francescana è nobile, preziosa e meritoria, ed io la sosterrò.”
Nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis (cap 34) afferma: “Non si può fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri viventi o inanimati — animali, piante, elementi naturali — come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche… Il dominio accordato dal Creatore all’uomo non è un potere assoluto… Nei confronti della natura visibile siamo sottoposti a leggi non solo biologiche ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire.” Nel suo libro “Amore e responsabilità”, edizioni Marietti, Torino 1980, si legge “Si esige che la persona umana e ragionevole non distrugga né sperperi le ricchezze naturali e ne usi con moderazione. In particolare, quando si tratta del suo atteggiamento verso gli animali, questi esseri dotati di sensibilità e capaci di soffrire, si esige dall’uomo che non li sottoponga a sevizie e non li torturi fisicamente quando li mette al proprio servizio. Abbiamo doveri morali verso il soggetto costituito da persona, ma li abbiamo anche verso gli esseri viventi capaci di soffrire.”
In diverse lettere indirizzate ai francescani, Giovanni Paolo II scrive: “Chi lo ha compreso non può non guardare con riverente riconoscenza alle creature della terra e trattarle con la responsabile attenzione che gli impone un doveroso riguardo verso il Divino Donatore.” (27/5/84)
“San Francesco sta dinanzi a noi come esempio di inalterabile mitezza e sincero amore nei confronti degli esseri irragionevoli, che fanno parte del Creato. Egli guardava il Creato con gli occhi di chi sa riconoscere in esso l’opera meravigliosa della mano di Dio. La sua voce, il suo sguardo, le sue cure premurose, non solo verso gli uomini ma anche verso gli animali e la natura in genere sono un’eco fedele dell’amore con cui Dio ha pronunciato all’inizio il fiat che li ha fatti esistere. Ad un simile atteggiamento siamo chiamati anche noi. Creati a immagine di Dio, dobbiamo renderlo presente in mezzo alle creature come padroni e custodi intelligenti e nobili della natura e non come sfruttatori e distruttori senza alcun riguardo.” (12/3/82)
“Mi fa piacere incontrarmi con voi e volentieri esprimo il mio incoraggiamento per l’opera che prestate per la protezione degli animali, nostri fratelli più piccoli come li chiamava il Poverello d’Assisi.” (11/11/82)
Ricordiamo qui che Francesco d’Assisi scrisse il famoso “Cantico delle Creature”, benediva e parlava agli animali (lupi, agnelli, pecore, lepri, conigli, pesci, colombe, rondini, cornacchie, gazze, falchi, tortore, allodole, cicale). Sant’Uberto era stato cacciatore, ma si dedicò completamente alla vita spirituale dopo aver avuto la visione di Cristo in un cervo che stava per uccidere.
Famosi vegetariani cattolici come padre Mariano da Torino, Bruna d’Aguì, Franco Libero Manco, don Mario Canciani, i membri del quarto ordine francescano e molti altri, stanno conducendo da molti anni una battaglia non violenta per aiutare i fedeli e le autorità ecclesiastiche a diventare consapevoli di questa importante verità.
Molti cristiani sono stati tratti in inganno da alcuni passi del Nuovo Testamento, dove si dice che Cristo mangiò carne o consigliò di mangiare carne. Dopo il Concilio di Nicea (325 d.C.) voluto e controllato da Costantino in cambio dell’apertura del potere politico al clero cristiano, il Nuovo Testamento fu alterato dalle autorità ecclesiastiche di allora con lo scopo di stabilire la dottrina “ortodossa” ed eliminare la reincarnazione e il vegetarianesimo dalla loro posizione di pilastri della fede cristiana. I primi cristiani (i cristiani delle origini) erano infatti strettamente vegetariani: lo dimostrano le cronache del tempo. Nel 177, una donna di nome Biblis protestava contro le accuse rivolte contro i cristiani (alcuni detrattori sostenevano che mangiavano i bambini) dicendo: “Questa gente non può consumare nemmeno il sangue di animali irrazionali, come potrebbe mangiare bambini?”
Neanche nel Nuovo Testamento viene dunque consigliato di mangiare carne. Questo d’altronde coincide con la famosa profezia di Isaia sull’avvento di Gesù: “Una vergine concepirà e darà alla luce un figlio, e il suo nome sarà Emanuele (“Dio è con noi”). Burro e miele saranno il suo cibo, perché saprà rifiutare il male e scegliere il bene.” Matteo (9:13 e 12:7) riporta due volte il comando di Gesù, già affermato dal profeta Osea: “Voglio misericordia e non sacrifici.”
Nel 1947 furono ritrovati i famosi Rotoli del Mar Morto, dei papiri risalenti ai primi secoli dell’era cristiana, che testimoniano l’entità delle manipolazioni successive sui testi sacri originari. Un altro importante reperto è un manoscritto esseno ritrovato in un monastero buddhista tibetano, dove era stato nascosto per preservarlo dai corruttori. Questi documenti archeologici sono stati studiati da Martin Larson, Edmond B. Szekely, Millar Burrows, G.J. Ousley, John M. Allero e Frank J. Muccie, e sono stati definiti dalle gerarchie ecclesiastiche come “vangeli apocrifi” (cioè “non riconosciuti” ufficialmente, in contrasto con i vangeli “canonici” ).
Studi accurati sugli antichi manoscritti orginali dei Vangeli, scritti in greco, hanno rivelato che le parole tradotte come “carne” sono in realtà trophe, phago, e brome, che significano semplicemente “cibo” o “atto del mangiare” in senso lato. Ad esempio, in alcune edizioni del Vangelo di San Luca (8:55) si lgge che Gesù resuscitò una donna dalla morte e “ordinò di darle della carne”. La parola greca originaria tradotta con “carne” è in realtà phago, che significa semplicemente “da mangiare”. Quindi Gesù ordinò in effetti e semplicemente che alla donna resuscitata fosse dato del cibo. La parola greca per indicare la carne è kreas, che non compare mai nei Vangeli originari in riferimento a Cristo. Le parole greche usate nelle versioni originali dei Vangeli sono broma (cibo), brosimos (ciò che può essere mangiato), brosis (nutrimento o atto del mangiare), prosphagion (qualcosa da mangiare), trophe (nutrimento), phago (mangiare).
Per quanto riguarda il pesce, è interessante sapere che fin dai tempi dei Babilonesi, nella zona della Palestina era molto popolare un alimento preparato con delle alghe chiamate “pianta pesce”. Queste alghe venivano fatte seccare, polverizzate in un mortaio e impastate per farne una specie di pane, cibo molto diffuso e apprezzato ai tempi di Gesù, e che ancora oggi viene raccomandato ai fedeli musulmani. E’ dunque molto probabile che quando a Gesù furono presentati “dei pani e dei pesci” e lui moltplicò il cibo per nutrire la folla, piuttosto che pani e pesci, il cibo presentato fosse piuttosto del “pane di pianta pesce”. In questo senso si comprenderebbe infine perché nella versione originale l’evangelista afferma che Gesù lo moltiplicò, esprimendo il complemento oggetto al singolare, cosa che risulta perfettamente logica se il genere di cibo moltiplicato fosse stato singolare.
San Giovanni Battista, che faceva austerità vivendo nel deserto, mangiava carrube e miele. Alcune traduzioni del nuovo testamento riportano l’errata dizione “locuste” a causa di una svista simile a quella citata sopra: in Palestina le carrube sono chiamate anche “fagioli della locusta”, perché molto apprezzate da tali insetti.
Anche dal punto di vista logico e pratico, è senz’altro più facile mangiare carrube, visto che nelle zone aride gli alberi di carrube crescono forti e rigogliosi, spesso spontanei, e sono molto longevi e produttivi. Le loro bacche sono facilmente reperibili e quindi non particolarmente pregiate sul mercato, tanto che ancora oggi sono usate come mangime per i cavalli anche nelle zone rurali italiane, pur essendo molto dolci e nutrienti (contengono molti zuccheri, amidi, proteine, vitamine e sali minerali) e non richiedendo alcuna cottura o preparazione speciale). Una dieta basata su bacche di carrube raccolte da zone desertiche richiede pochissimo tempo e fatica per la raccolta, e sicuramente fornisce un apporto nutritivo molto più ricco e piacevole di una dieta basata su insetti che si nutrono di vegetazione e quindi non frequentano generalmente le zone aride. Senza parlare della difficoltà di acchiapparle, della scarsa dimensione di ciascuna locusta (da rincorrere e catturare individualmente), della difficoltà di conservazione e del considerevole disgusto di mangiarsele. Senza contare che non sono mai state considerate un cibo dalla cultura ebraica, non essendo elencate tra gli animali “commestibili” nella Bibbia (Levitico), che è estremamente precisa su queste cose. Se Giovanni il Battista (che non dobbiamo dimenticare, era considerato un profeta ebreo e una grande autorità spirituale dai suoi contemporanei, attirando folle di seguaci che volevano farsi “purificare” da lui con il battesimo) aveva deciso di vivere dedicandosi all’austerità e alla penitenza per dare un esempio di santità al popolo, astenendosi dai cibi succulenti permessi dalla Bibbia, come avrebbe potuto scegliere di mangiare cose proibite dalla Bibbia, quando aveva a disposizione numerosi, economici e “puri” alberi di carrube?
Il carrubo nell’antichità fu venerato nel mondo islamico e nella chiesa primitiva come “cibo dei profeti”, e in alcune zone d’Italia le carrube sono ancora chiamate “pane di San Giovanni”.
Alcuni commentatori delle scritture sono dell’opinione che il “miele selvatico” mangiato da Giovanni sia stato lo sciroppo che si ottiene spremendo i frutti molto maturi del carrubo, che ha sapore di miele. Questo spiegherebbe anche l’associazione carrube e miele. Inoltre, sarebbe più facile da raccogliere, dato che il miele raccolto dalle api ha ben poche possibilità di essere reperito facilmente in zone aride e torride prive di vegetazione fiorita.
Venticinque anni dopo la predicazione di Giovanni Battista, Flavio Giuseppe rimase per tre anni presso un eremita solitario ebraico di nome Banno, che viveva nel deserto “con vestito ricavato dagli alberi e nutrendosi di cibo cresciuto spontaneamente”.
Un gruppo di religiosi ebraici, gli Esseni, menzionati da Flavio Giuseppe (Guerra Giud. II, 119-161), ma anche da Filone, Plinio, Epifanio ed altri, erano strettamente vegetariani e non celebravano sacrifici animali, erano chiamati “meditativi”, “terapeuti” e “silenziosi”. Da molti episodi risulta che Gesù e sua madre Maria appartenevano al gruppo degli Esseni. Gesù in particolare aveva fatto voto di Nazireato, che comporta l’astensione da bevande alcoliche e cibi non vegetariani, oltre all’austerità di non tagliarsi mai né capelli né barba e di indossare abiti senza cuciture. La cosa viene confermata da numerosi passaggi dei Vangeli anche canonici (quando si parla della tunica di Gesù, che era in un solo pezzo senza cuciture, e del fatto che a causa del voto di Gesù nessuno aveva mai tagliato i suoi capelli). Gesù era chiamato anche popolarmente “il Nazireo”, appellativo poi spesso confuso con “Nazareno”, a volte tradotto come “originario di Nazareth”, per depistare coloro che avrebbero potuto cercare di comprendere le vere abitudini di vita e i veri insegnamenti di Gesù. Per questa distorsione, valgono le stesse motivazioni della traduzione errata dei termini originari dei vangeli greci — cioè giustificare e facilitare una classe clericale dedita al peccato di gola nella forma di carne, vino e alcolici di vario genere.
Il vino bevuto dagli Esseni era una specie di mosto bollito, o succo d’uva dolce non fermentato, molto salutare in quanto ricco di calorie, vitamine, sali minerali e proprietà disintossicanti e terapeutiche. Ricordiamo che ancora oggi gli igienisti raccomandano la “cura dell’uva” per disintossicare l’organismo ai cambi di stagione — tale cura non richiede certamente il consumo di grandi quantità di vino, bensì di succo d’uva e uva fresca, nella quantità di uno o due chili al giorno, come unico alimento previsto durante il periodo della cura.
Il Vangelo Esseno della Pace, ritrovato tra i documenti del Mar Morto, afferma: “La carne dell’animale ucciso diventerà la sua tomba nel suo stesso corpo, perché in verità vi dico, chi uccide uccide sé stesso, e chi mangia la carne di animali uccisi mangia il corpo della morte.”
San Pietro, in una delle sue omelie, tuonava: “Il consumo di carne è innaturale e contamina quanto l’adorazione dei demoni che fanno i pagani, con i suoi sacrifici e i suoi festini impuri, che vedono gli uomini compagni di banchetto dei diavoli.” San Tommaso (l’apostolo che andò a predicare in India, non Tommaso d’Aquino!) era anch’egli vegetariano.
Clemente di Alessandria, un padre della Chiesa delle origini, raccomanda nei suoi scritti l’alimentazione vegetariana, in particolare citando l’esempio dell’apostolo Matteo che “si cibava di semi, noci e vegetali, senza mangiare carne” e commenta “Non vi è forse in una temperata semplicità una completa varietà salutare di cibi? Vegetali, radici, olive, erbe, latte, formaggio, frutta e noci… Non dobbiamo trasformare il nostro corpo in un cimitero di animali.”
San Gerolamo, un altro padre dell’antica Chiesa cristiana, che autorizzò la prima versione latina della Bibbia tuttora in uso, scrisse: “Cucinare vegetali, frutta e legumi è facile ed economico” e suggeriva questa dieta a chi voleva diventare saggio.
San Giovanni Crisostomo considerava il consumo di carne innaturale e crudele da parte dei cristiani: “Ci comportiamo come lupi, come leopardi… anzi peggio di loro, perché la natura ha previsto che essi si nutrissero in quel modo, ma noi, ai quali Dio ha dato la parola e il senso della giustizia, siamo diventati peggio di belve feroci. Noi capi della cristianità dobbiamo praticare l’astinenza dalla carne degli animali per controllare il nostro corpo… il consumo della carne animale è una contaminazione innaturale.”
San Benedetto, fondatore dell’ordine dei Benedettini, prescrisse ai suoi monaci una dieta essenzialmente vegetariana. Anche ai trappisti era vietato, fin dalla fondazione nel diciassettesimo secolo, mangiare carni e uova, e benché con il Concilio Vaticano nel 1960 il divieto sia stato tolto per facilitare i monaci che trovavano difficile seguire tale pratica, ancora oggi molti frati trappisti si attengono alla regola originale.
Persino San Paolo, che fu l’artefice della prima espansione sociale ufficiale del cristianesimo, e che ne ampliò i rigidi confini esseni allo scopo di diffonderne il messaggio essenziale anche tra vasti gruppi di ebrei in varie parti dell’impero, e in popolazioni fino ad allora estranee all’ebraismo, scriveva: “Colui che mangia di tutto non sprezzi colui che non mangia di tutto. Non perdere, con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto! Non disfare per un cibo l’opera di Dio. E’ bene non mangiare carne né bere vino. L’intera creazione anela ansiosamente alla manifestazione gloriosa dei figli di Dio. Anch’essa verrà affrancata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio.”
(Romani, 2, 3, 15, 18, 19, 20, 21)
Nel concilio di Trullano, svoltosi a Costantinopoli nel 692 d.C., fu stabilita questa regola per rimediare in qualche modo agli eccessi che si erano scatenati in seguito all’abolizione del vegetarianesimo come regola, sancita dal concilio di Nicea (325 d.C.): “Le sacre scritture proibiscono il consumo di sangue animale. Un chierico che commette questo peccato sarà sconsacrato, un laico sarà scomunicato.”
Tommaso d’Aquino (1125-1274), che i suoi stessi biografi dicono famoso per essere un ghiottone (e non certo l’unico nela Chiesa di quei tempi) elaborò la famosa dottrina secondo la quale gli animali non avrebbero anima — e neppure le donne e le razze inferiori — sebbene in seguito, a causa di notevoli pressioni, la Chiesa dovette ammettere che donne e negri avevano sì un’anima, ma di livello “inferiore”, per poter mediare tra la giustificazione della schiavitù e dell’oppressione femminile da una parte e la necessità del battesimo e della pratica religiosa per tali categorie dall’altra.
[Parama Karuna]