Vegan-bio locale: una dieta leggera
24 giugno 2005Quanto pesa sulla Terra il nostro cibo? Di più, se consumiamo parti animali e derivati. Una dieta a base animale comporta la lunga, cruenta, energivora ed ecologicamente onerosa filiera zootecnica, ormai ultraintensiva, per tener dietro alla domanda. E abbattere i costi. Grazie anche a studiosi di fama internazionale come Lester Brown, Jeremy Rifkin, David Pimentel, Vandana Shiva, sono ormai noti concetti come la resa energetico-proteica degli allevamenti («fabbriche di proteine alla rovescia»: molto vegetale si converte in poco animale), lo squilibrato rapporto feed-food (vegetali sottratti – anche in paesi alla fame – alla diretta alimentazione umana per nutrire le stalle), l’effetto serra zootecnico, l’inquinamento idrico da deiezioni, la hamburger e soia connection a distruggere le foreste, le patologie animali con rischio di epidemie. Del resto, grazie alle azioni degli animalisti e alle teorie antispeciste sono ormai note le sofferenze degli esseri viventi dalla stalla al macello. Non per nulla in Occidente i vegetariani aumentano; la brutta notizia è che cresce la globalizzazione zootecnica e il consumo di carne da parte dei ceti medi nel sud del mondo.
Ma la galassia vegetariana non è tutta uguale. Per chi ha scelto di non mangiare animali per ragioni etiche, l’approdo finale è l’alimentazione vegana, quella che esclude anche i derivati: il latte comporta per forza l’uccisione degli inutili vitellini maschi (dove ospitarli a vita, sennò?) nonché delle vacche «vecchie» (5-6 anni, sui 20 che potrebbero vivere); e le uova richiedono la rottamazione alla nascita dei pulcini nati maschi e quella delle galline ovaiole una volta «vecchie» (2 anni).
Anche dal punto di vista ambientale la dieta vegan è la più leggera di tutte; a certe condizioni. Lo ha verificato in uno studio il chimico ambientale Massimo Tettamenti, anche sulla base di diversi approfondimenti dell’American Journal of Clinical Nutrition. E’ stato analizzato l’impatto ambientale di diverse diete (onnivora, vegetariana, vegan) e di diversi metodi di produzione alimentare (intensivo, biologico) utilizzando la metodologia denominata Life Cycle Assessment (Lca), che esamina tutto processo di produzione e consumo del cibo, dalla coltivazione allo smaltimento dei rifiuti. Il risultato è che la dieta «leggera», vegan-bio-locale, incide sull’ambiente fino a dieci volte meno della dieta «pesante», carnivor-intensiva. Purché non ci si nutra di cibi precotti e surgelati, imballati, iperconfezionati, provenienti dall’altra parte del globo: non tutti i vegan sono ecologisti globali.
L’ecologia vegana è al centro del Vegfestival di Torino, festa vegan all’aperto che si è appena conclusa negli spazi di via Cigna 216 (www.vegfestivalorg). Alla sua terza edizione, la festa offre cibi, musica, incontri, conferenze etiche e pratiche, libri spettacoli per bambini, mostre, stand richiamando migliaia di persone interessate ad avvicinarsi a uno stile di vita – non solo alimentare: come la mettiamo con il cuoio, la lana e molto altro? – indicato come «un inno alla vita, per star bene con se stessi e per non far del male agli animali, all’ambiente e ai popoli del sud del mondo»; fra gli organizzatori del Vegfestival ci sono infatti alcuni attivisti – soprattutto attiviste – della campagna «Un’altra alimentazione è possibile contro la fame» che da anni sottolinea un nesso fra sottonutrizione e modelli alimentari che è ormai noto ma è tuttora trascurato nelle stesse politiche di sviluppo.
E i conti con la salute? Sono numerosi gli studi internazionali sulle qualità protettive e curative della dieta a base vegetale e sulla possibilità di evitare carenze. Al Vegfestival ne hanno parlato pediatri come Riccardo Trepidi e specialisti come Luciana Baroni, autrice con Hand Dielh di «Decidi di star bene», un manuale completo sulla medicina degli stili di vita.
Quanto alle papille gustative, i dubbi vengono meno se ci si avvicina alle paste, alle salse, ai piatti proteici, ai dolci offerti dal bio-veg-bar e dal bio-veg-ristorante, là alla festa. Altro che brucare insalata.
[da ilmanifesto.it del 23 giugno 2005 – Karima Isd]