Il lusso ecocompatibile ora diventa sexy e chic
5 luglio 2005“Se non sei etico non sarai né sexy né chic”. Parola di Sienna Miller, l’attrice britannica che ha affiancato come protagonista femminile Jude Law nel film “Alfie” e sua futura sposa. Lei, già eletta a icona di stile nel mondo fashion, non è la sola ad aver abbracciato un lifestyle ecocompatibile, ovvero il nuovo mood Bio, basato su un credo ambientalista mirante a preservare la natura e la sua purezza, ma anche su un consumo e quindi uno shopping più consapevole (leggasi etico). Esistono diverse celebrity del calibro di Natalie Portman, la star di “Guerre stellari”, l’atleta Carl Lewis e il cantante Moby, che hanno aderito da diversi anni alla comunità vegana. Quest’ultima si riunisce e recluta adepti anche in Italia perseguendo uno stile di vita che prescinda dallo sfruttamento e la soppressione di animali. Il loro manifesto è “Diventa vegan in 10 mosse” di Marina Berati e Massimo Tettamanti edito da Sonda. Ed esistono persino stilisti vegani come Fabio Raffaeli, ideatore del marchio “Eblood” che ricorre solo a fibre vegetali e minerali e non usa coloranti derivanti da animali.
Sulla stessa lunghezza d’onda, ma senza troppe etichette ideologiche, Carlo Rivetti, imprenditore illuminato al timone della Sportswear Company di Ravarino, ha lanciato per la collezione maschile di C.P. Company per la p/e 2006 un guardaroba governato dall’idea innovativa di tingere per la prima volta fibre artificiali come il poliestere, con pigmenti naturali ottenuti da varie gradazioni di terre come il verde veronese, il rosso pompeiano, il Terra di Cipro o il nero vite germanica, conferendo a capi tecnici un aspetto vissuto e quasi naturale. E se Moto Guzzi ha lanciato la prima moto ecologica, la Breva V 1100, (brezza o brivido) già in linea con le norme anti inquinamento in vigore dal 2007, a Parigi la stilista Mireille Etienne Brunel crea abiti couture in carta “usa e getta”. Ma l’ecostyle, suggeriscono alcuni, non sarebbe veramente più etico se al di là delle crociate biologiche che promuove, fosse associato al commercio equo e solidale? Quest’ultimo, nato alcuni anni fa per tutelare le condizioni di vita dei lavoratori e dei produttori del terzo mondo rappresenta oggi un business di nicchia, ma in continua crescita.
[da Affari e Finanza di Repubblica del 4 luglio 2005]