Al profitto serve un dottore
28 maggio 2006Una domanda persistente sta iniziando a ossessionare l’America e l’Europa. Tutti vogliono sapere cos’è che rallenta la produttività e la competitività economica di molti fra i Paesi più ricchi del mondo.Mentre alcuni analisti continuano a dare la colpa a politiche occupazionali poco flessibili, a lavoratori viziati e troppo coccolati, a un’istruzione scolastica insufficiente, nonché a un management che sfrutta il malessere della produttività, sta lentamente venendo a galla un’altra scomoda realtà. I lavoratori ricchi, i cosiddetti benestanti, specialmente negli Stati Uniti e in Europa soffrono di un certo numero di malattie e malanni e il loro precario stato di salute sta influenzando la produttività in modo sfavorevole e sta facendo aumentare la spesa sanitaria per contribuenti, datori di lavoro e impiegati. Ne consegue che gli affari non sono così competitivi come potrebbero essere e minacciano qualunque prospettiva di crescita economica.
Anche se qualcuno dovesse dubitare dello stretto rapporto che esiste fra benessere fisico e crescita economica, i molteplici studi incrociati condotti negli ultimi anni a livello internazionale dovrebbero mettere a tacere gli scettici. In una ricerca svolta su 26 Paesi ad alto reddito, alcuni ricercatori hanno scoperto, ad esempio, che i problemi cardiovascolari, causa primaria di malattie nelle nazioni più ricche del mondo, sono direttamente correlati alla crescita economica. Una semplice riduzione del 10 per cento delle malattie cardiovascolari viene associata a un aumento dell’1 per cento del tasso di crescita pro capite del Pil, il prodotto interno lordo.
Il fatto è che nei Paesi ricchi, i lavoratori ingrassano, fanno meno attività fisica, fumano e bevono troppo, sono più stressati, il che li rende maggiormente vulnerabili alle malattie del benessere. Queste malattie includono il diabete di tipo 2 (non insulino-dipendente), problemi cardiovascolari, malattie ai bronchi quali asma, cancro, ictus, depressione, disordini e deficit dell’attenzione.
Ma quanto sono malati questi lavoratori ricchi? Tanto per cominciare l’obesità sta salendo alle stelle in America e in Europa. Negli Stati Uniti, un lavoratore su tre è obeso, mentre in Europa, un bambino su quattro è sovrappeso. Di contro, il tasso di obesità in Giappone e Corea è soltanto del 3,2 per cento. Molti altri Paesi asiatici hanno tassi ugualmente bassi. L’obesità è uno dei maggiori fattori che contribuiscono a determinare i sintomi iniziali del diabete di tipo 2. L’obesità è anche una delle cause principali di attacchi di cuore, cancro e ictus. In Germania, un terzo di tutte le spese del servizio sanitario è da attribuire a malattie legate a cattiva nutrizione. Anche il fumo è un altro fattore di cattiva salute dei lavoratori. Ogni anno, in Europa, il fumo uccide oltre un milione di persone che muoiono di cancro o di malattie cardiache.
I lavoratori ricchi fanno anche meno esercizio fisico. Il tenore di vita high tech, il lavoro sedentario, giochi e metodi di intrattenimento sempre più passivi, rendono l’individuo più vulnerabile di fronte alle malattie croniche e mortali. Strano ma vero, il 60 per cento degli europei, e circa la stessa percentuale di americani, non fa attività fisica durante la settimana tipo. Anche lo stress è in crescita poiché le esigenze di una cultura che viaggia al nanosecondo, 24 ore al giorno su sette giorni, creano una pressione e una tensione tali da incrementare malattie collegate a deficit di attenzione, disordini di iperattività e depressione. Secondo le stime dell’Unione europea, le malattie legate allo stress costano 20 milioni di euro l’anno. Non c’è da sorprendersi quindi che l’Attention deficit hyperactivity disorder (Adhd) stia diventando una vera e propria pandemia. Negli Stati Uniti, il 7,8 per cento dei bambini fra i quattro e i 17 anni sono affetti o hanno avuto in passato questa malattia. Al momento il 4 per cento dei bambini italiani fra i cinque e i 12 anni soffrono di questo problema.
Non c’è da meravigliarsi quindi che le spese sanitarie in America e in Europa stiano salendo alle stelle. Il costo della sanità negli Stati Uniti sta crescendo del 7,3 per cento l’anno e incide per il 16 per cento sul Pil. Le spese sanitarie in Italia, sebbene minori rispetto a quelle sostenute dagli Stati Uniti, ammontavano tuttavia all’8,4 per cento del Pil nel 2003.
Il costo della sanità è sostenuto dai datori di lavoro. Ma il peso esorbitante della sanità rende il lavoro meno competitivo nei mercati globali. Guadagni ridotti significano anche meno risparmi e meno consumi da parte dei lavoratori. L’aumento della spesa sanitaria si traduce per i datori di lavoro in una riduzione dei margini di profitto. Non solo: limita nuovi investimenti e porta l’economia a una spirale verso il basso.
Alcune grandi compagnie americane, come la General Motors (Gm) ad esempio, sono preoccupate del fatto che l’aumento della spesa per la copertura sanitaria dei propri dipendenti possa paralizzare o addirittura far fallire le loro operazioni negli anni a venire. Al momento, per ogni auto prodotta, Gm sborsa 1.525 dollari di spese sanitarie, una somma superiore al costo dell’acciaio contenuto in un automobile. L’amministratore delegato della Gm, Rick Wagoner, ha detto di recente: “È strano. Quando sono entrato alla Gm, 28 anni fa, l’ho fatto perché amavo i camion e le automobili. Non avevo idea che mi sarei ritrovato a lavorare in qualità di amministratore della spesa sanitaria”.
Una forza lavoro più malata non soltanto fa aumentare il costo del lavoro, ma abbassa anche il livello di produttività della forza lavoro. Negli Stati Uniti, il cattivo stato di salute dei lavoratori incide sulla mancata produttività per ben 260 miliardi di dollari l’anno – o il 2,4 per cento del Pil – poiché determina un aumento dell’assenteismo ovvero ciò che gli esperti in risorse umane chiamano ‘presenteismo’: una presenza sul posto di lavoro caratterizzata da una prestazione lavorativa sempre più deteriore, da una minore capacità di resistenza, da poca concentrazione, e da un aumento di errori e incidenti. L’incremento del tasso di persone affette da depressione sta avendo un effetto particolarmente drammatico sulla produttività. Secondo le stime, entro il 2020 la perdita di produttività dell’Unione europa a causa di malattie mentali avrà un costo economico pari al 4 per cento del Pil europeo.
C’è una risposta che faccia fronte al deteriorarsi dello stato di salute dei lavoratori ricchi, al concomitante aumento del costo del lavoro, alla perdita di produttività che minaccia di rendere non competitive anche le economie più avanzate? Sì. E si tratta di una soluzione che come concetto è straordinariamente semplice, tuttavia richiederebbe un cambiamento paradigmatico del modo in cui la società affronta la questione della salute e del benessere dei propri cittadini.
Negli ultimi 30 anni, una grande quantità di studi e ricerche ha fornito prova del fatto che il 60-70 per cento delle principali malattie sono associate a rischi ambientali modificabili. Mala nutrizione, obesità, mancanza di esercizio fisico, stress, fumo, consumo eccessivo di alcol, tutto questo contribuisce a determinare un cattivo stato di salute. Tuttavia, gli Stati Uniti e virtualmente tutti gli altri Paesi dell’Oecd, l’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo, spendono una piccolissima parte dei propri fondi governativi in prevenzione, incluse vaccinazioni, test diagnostici annuali e medicinali appropriati. Ancor meno si investe per promuovere la salute e il benessere, facilitare cambiamenti positivi dello stile di vita, incentivare corsi di attività fisica, regimi alimentari alternativi, programmi per la riduzione dello stress e per smettere di fumare. Gli Stati Uniti dedicano meno del 5 per cento del budget sanitario federale alle pratiche di prevenzione e meno dell’1 per cento di ogni dollaro destinato alla ricerca è impiegato per promuovere comportamenti rivolti a migliorare il proprio stato di salute. I Paesi europei sono ancora meno attivi in questo senso.
Molte aziende globali, preoccupate per l’aumento della spesa sanitaria e la perdita di produttività, si sono organizzate creando appositi team di professionisti della salute nell’avveniristico tentativo di far slittare il ‘paradigma sanità’, focalizzando l’attenzione non più sulla malattia che minaccia, bensì promuovendo salute e benessere, con incredibili risultati. Società quali Dow Chemical, Kimberly-Clark, Johnson & Johnson, Pitney-Bowes, Prudential Financial, Procter & Gamble, Volvo-Mack Truck, stanno sperimentando vari programmi di prevenzione e promozione sanitaria e la loro esperienza ci apre gli occhi.
Al fine di migliorare la salute e la qualità di vita dei propri dipendenti, le aziende si organizzano installando palestre all’interno dei propri edifici, oppure pagando un personal trainer o la quota d’iscrizione a un club, proponendo cibi più sani nelle mense aziendali, fornendo informazioni nutrizionali gratis ai dipendenti e alle loro famiglie, offrendo servizi di consulenza psicologica per la gestione dello stress da management e fornendo molti altri servizi di promozione sanitaria.
Ma perché le aziende dovrebbero impiegare ulteriori fondi per promuovere salute e benessere? Perché il rendimento (o utile) del capitale investito (Rci) non è cosa di poca importanza. Per ogni dollaro investito in programmi di promozione e prevenzione della salute, queste aziende risparmiano dai 3 agli 8 dollari sotto forma di riduzione della spesa sanitaria e guadagnano in produttività per via di un minor assenteismo dei lavoratori. La chiave del successo di tutti questi programmi è, da un lato, la loro natura volontaria e, dall’altro, gli incentivi inclusi nel processo di motivazione dei propri dipendenti per far sì che cambino stile di vita e godano di un migliore stato di salute.
I programmi per il miglioramento del benessere e della salute hanno anche un effetto moltiplicatore. Un crescente numero di programmi aziendali si estende ai familiari dei dipendenti e li coinvolge nel processo di miglioramento del proprio benessere. Il cambiamento dello stile di vita non si ferma insomma ai cancelli della fabbrica o alle porte dell’ufficio. È più probabile che un lavoratore che gode di un ottimo stato di salute incoraggi anche la sua famiglia a sposare uno stile di vita più sano. Così, seguire un regime alimentare equilibrato, ridurre lo stress e praticare maggiore attività fisica, diventano veri e propri affari di famiglia. Quando i componenti di un nucleo familiare sono coinvolti nel processo, il paradigma salute si altera alle sue fondamenta con ripercussioni e implicazioni a lungo termine per le generazioni future. È chiaro che iniziative di promozione e prevenzione sanitaria non devono essere viste come sostitutive dell’esistente copertura sanitaria federale, ma piuttosto come complementari: un modo di assistere i lavoratori per farli diventare più sani e fargli vivere una vita migliore, più felice e produttiva.
Come iniziare allora? Per prima cosa, il governo e l’industria, lavorando insieme, dovrebbero identificare i metodi migliori e stabilire degli standard universali di prevenzione e promozione sanitaria.
In secondo luogo, crediti d’imposta e incentivi dovrebbero essere messi in atto per incoraggiare lo sviluppo del settore del benessere in campo sanitario. Ciò di cui c’è bisogno sono società qualificate, certificate e ben addestrate, che forniscano alle aziende una serie di servizi e programmi di prevenzione e promozione sanitaria. La creazione di un’industria del benessere laboriosa e piena di iniziativa creerà nuovi posti di lavoro e nuove figure professionali – impieghi che per loro natura sono ancorati al Paese.
Terzo: per ogni dollaro che le aziende impegnano per la creazione di uno staff interno di specialisti della salute e del benessere o per l’appalto di una società esterna che se ne occupi, il governo dovrebbe fornire il corrispettivo di un dollaro di sgravio fiscale sui profitti aziendali, nei limiti di un tetto prestabilito.
Quarto: governo, industria e sindacati dovrebbero stabilire una formula che preveda, per datori di lavoro e lavoratori, una detrazione d’imposta proporzionata sia all’aumento del livello di salute e benessere dei lavoratori, sia ai soldi che il governo risparmia in termini di riduzione della spesa sanitaria a seconda del numero dei dipendenti coinvolti nel programma salutistico dell’azienda.
A dispetto di una crescente competizione globale, le economie più mature hanno bisogno di trovare nuove strategie per aumentare la produttività e assicurare la crescita economica. Una forza lavoro più sana, mentalmente e fisicamente in forma, è uno dei principali fattori da prendere in considerazione se si vuole facilitare la crescita di una economia sostenibile.
[da L’Espresso del 28 maggio 2006 – Jeremy Rifkin]