La sperimentazione animale è un alibi
30 gennaio 2007Già nel 1972 G. Maccacaro nella prefazione al libro di M. H.Pappaworth “Cavie umane. La sperimentazione sull’uomo” affermava: “nella patologia umana si osserva una recessione della forma prevalentemente cronico- degenerativa….; ciò indica il passaggio ad una patologia dell’uomo in quanto tale, altamente antropica per genesi e specificità: ovvero nell’uomo sono ormai preponderanti i cosiddetti “disordini da civiltà”.
Questa illuminata ed illuminante considerazione si ricollega alle tante considerazioni fatte dagli esponenti dell’antivivisezionismo scientifico che portano a concludere che qualunque risultato ottenuto provando farmaci su animali, non può essere trasferito all’uomo, anche perché la sua patologia odierna non è rintracciabile in alcuna altra specie animale.
Del resto qualunque dato ottenuto sull’animale può risultare identico, simile o completamente diverso sull’uomo e, anche se “a posteriori ” verifichiamo una certa percentuale di coincidenza dei dati, tuttavia “a priori” non sapremo se la sostanza sarà innocua, tossica o mortale per l’uomo.
E’ dunque l’uomo, su cui è obbligatorio oggi provare il farmaco, la vera “cavia”, e la prova sull’animale è solo l’alibi per rendere accettabile una sperimentazione altrimenti eticamente illecita. Di ciò sono ben consci i vivisettori che non esitano a passare dalla vivisezione dell’animale a quella sull’uomo.
E non occorre andare con la memoria ai campi di sterminio nazisti; molti, infatti, sono i casi di “cavie umane” denunciati dalla stampa sia italiana che estera. Come afferma sempre nel citato libro G. Maccacaro “l’industria farmaceutica presenta ogni anno al nostro Ministero della Sanità alcune centinaia di domande di registrazione di nuove specialità medicinali. La legge impone che ogni domanda sia corredata, fra l’altro, da una o più relazioni firmate da un clinico e referenti, su prove da lui eseguite in soggetti umani, generalmente malati. Poiché ogni relazione verte su qualche decina di pazienti, ci si rende conto che in Italia, migliaia di persone sono sottoposte, quasi sempre a loro insaputa, ad esperimenti intesi ad accertare l’attività terapeutica e tossica di questo o di quel medicinale.” Risulta quindi grave e sorprendente che in Italia manchi una legge organica che disciplini la sperimentazione umana.
E’ lo stesso Ministero della Sanità che il 1/9/1990, in risposta all’interrogazione n. 4/1079 degli onorevoli Tamino e Ronchi, afferma che: “Circa il problema della sperimentazione clinica, si fa presente che, attualmente, non esiste una normativa che la disciplini compiutamente, sebbene in passato siano state presentate diverse proposte di legge”.
Nella prassi clinica, invece, la sperimentazione viene suddivisa in 4 fasi:
a) fase preliminare: sotto stretto controllo di esperti, il prodotto è dato ad un piccolo campione di soggetti sani volontari per un periodo di tempo necessario ad ottenere dati attendibili sulle sue caratteristiche di farmacocinetica, di farmacodinamica e di tollerabilità, nonché a stabilire per le successive fasi della sperimentazione se vi siano differenze nella risposta in funzione delle vie di somministrazione;
b) fase pilota: è volta a stabilire in via preliminare, ma con dati attendibili, le proprietà di efficacia terapeutica e di eventuali effetti collaterali non desiderati del prodotto. In questa fase, in ambiente clinico qualificato, il prodotto viene saggiato su piccoli gruppi di pazienti consenzienti affetti dalla malattia per la quale il prodotto è stato predisposto;
c) fase su larga scala: è condotta su casistiche più numerose di pazienti, preferibilmente in disegno policentrico, al fine di dimostrare con metodologia adeguata, le effettive proprietà terapeutiche del prodotto e la sua tossicità, anche in relazione alla sua dose di mantenimento, che va individuata. In questa fase, specie per i prodotti di nuova istituzione, ed in particolare per quelli essenziali, destinati alle forme patologiche più frequenti o più gravi, alcuni di questi studi clinici controllati, oltre a confermare l’efficacia del nuovo prodotto ed i suoi reali vantaggi terapeutici rispetto a prodotti di provata efficacia già in commercio, prolungando i tempi di osservazione delle “coorti” trattate, devono rilevare gli eventuali effetti collaterali del farmaco, in termini di frequenza, di qualità e di entità;
d) fase di farmaco-vigilanza: è finalizzata alla individuazione, quantizzazione e studio dell’importanza degli effetti collaterali indesiderati del prodotto e ad una più precisa definizione della sua efficacia e delle sue interazioni con altri farmaci.
E’ la stessa OMS a raccomandare la sperimentazione sull’uomo: basta leggere quanto scrive il Consiglio delle Organizzazioni Internazionali delle Scienze Mediche (CIOMS) nelle linee direttive internazionali proposte per l’impiego di soggetti umani nella ricerca biomedica (atti della XV Tavola Rotonda, Manila 13-16 settembre 1981) “..anche nel caso di medicinali o vaccini destinati a bambini, le ricerche condotte su adulti, volte ad accertarne la sicurezza e l’efficacia, dovrebbero aver raggiunto uno stadio avanzato prima che venga presa in considerazione la loro sperimentazione su soggetti più giovani. Non è giusto, però, ritardare senza buone ragioni questi esperimenti quando essi risultino opportuni: i farmaci in commercio sarebbero somministrati ai bambini senza fruire delle conoscenze scientifiche cliniche progettate a questo scopo. In queste circostanze, l’affermazione per cui sia la ricerca scientifica che quella terapeutica su bambini sia intrinsecamente immorale, diviene insostenibile..”
In definitiva tutte le norme nazionali ed internazionali tendono ad affermare che senza diretta sperimentazione sull’uomo (e se necessario su bambini – per lo più del terzo mondo!) i farmaci sarebbero somministrati senza adeguate conoscenze cliniche nonostante la precedente sperimentazione animale.
Per questo è opportuno anzitutto discutere sull’enorme quantità di farmaci in commercio (tra l’altro in 10 anni ne sono stati ritirati, perché inefficaci e tossici, circa 25.000!) e quindi valutare se e come possa essere fatta una corretta sperimentazione, eticamente accettabile sull’uomo, senza l’inganno (o l’alibi) della sperimentazione animale.
La sperimentazione clinica diventa lecita quando ha lo scopo di giovare al paziente e quindi è fatta su persona portatrice della malattia in esame e quando la terapia sperimentale è applicata soltanto se non esistono, allo stato attuale, altre terapie ritenute più o ugualmente idonee a curare il paziente.
Ulteriore garanzia di validità della terapia sperimentale, la quale non deve rappresentare un rischio per il paziente, deriva da una sperimentazione pre-clinica basata su metodologie scientificamente attendibili e che quindi siano in grado di produrre dati oggettivi sui possibili effetti tossici e non del farmaco e della terapia in questione. In tal senso i dati ottenuti sugli animali non sono in grado di dare alcuna indicazione riguardo ai possibili effetti sull’uomo. Inoltre, condizione assolutamente essenziale per la sperimentazione clinica sull’uomo, è il consenso volontario del soggetto, che dovrà essere informato, non solo preliminarmente, ma anche durante tutto il periodo della sperimentazione, delle complicazioni, dei rischi, degli effetti e dei benefici sulla salute.
Gianni Tamino