Diffondere la cultura veg*
20 marzo 2007Questo articolo si preannuncia decisamente delirante, tuttavia giuro che mi impegnerò per cercare di imbrigliarlo e farne risultare qualcosa di positivo (o quanto meno non troppo folle)!Dunque… Cominciamo con un’immagine tratta da un videogioco di qualche anno fa, Monkey Island 3. Non apro una parentesi su di esso, sebbene la meriterebbe, perché l’intera saga è talmente demenziale da far sganasciare dalle risate e regalare quindi 10 anni di vita in più.
Per oggi mi concentro su questa scenetta e su quanto sta accadendo al povero tizio al centro della figura (lo sfigatissimo Guybrush Treepwood, un uomo un mito).
Trattasi di un sacrificio umano operato da una tribù di cannibali a beneficio del dio-vulcano rappresentato sullo sfondo.
Ora, non ricordo benissimo i dettagli perché non bazzico questo gioco da almeno 6 anni, ma credo fosse un sacrificio particolare: pare che il vulcano fosse vegetariano ed effettivamente, non so se vi rendete conto, Guybrush indossa bellamente una maschera, dalle fattezze vagamente antropomorfe, intagliata nel Tofu.
Follia o genio, io fui la prima a domandarmi cosa diavolo fosse una “maschera di tofu”, e pare che molti altri si siano posti la stessa domanda. E certamente qualcuno, navigando in cerca della risposta, sarà incappato in un sito vegetariano o avrà scoperto in altro modo la natura di questo cibo, e relative connessioni col mondo veg.
Non so se ci fosse o meno un obiettivo propagandistico, probabilmente è stato scelto il tofu perché pochi sapevano cosa fosse, ma il ricordo tutt’oggi mi fa sorridere (e sganasciare: l’idea di un dio-vulcano vegetariano e di sacrifici umani di pupazzi di tofu è frutto del genio, non ne dubito).
Mi fa anche ripensare ai messaggi di cui qualche volta vi ho parlato, a quel filtrare dell’idea veg* che mi accompagna fin dall’infanzia, permeando la mia vita.
Sorprendente leggere La ragazza sull’albero e scoprire che Julia era vegetariana; ma molto più sorprendente leggere I ponti di Madison County e scovarvi il seguente dialogo.
“Si sente già un buon profumo” osservò lui indicando i fornelli. “Un profumo di… pace.” La guardò.
“Pace? Come può qualcosa profumare di pace?” Ma poi ci pensò su e comprese che lui aveva ragione. Dopo le braciole di maiale, le bistecche e gli arrosti che preparava per la sua famiglia, quello era un modo di cucinare che sapeva di pace. Nessuna violenza, in nessun punto della catena alimentare, a eccezione forse di quella insita nella raccolta delle verdure. Il minestrone bolliva piano e profumava di pace. C’era pace in cucina.
E’ l’unico accenno esplicito all’argomento presente nel libro, e mi lasciò di stucco. Lo lessi da vegetariana novella e mi sentii meno sola. Stupido simpatizzare con un personaggio inventato condividendo una comune scelta di vita?
Stupido, ma consolatorio. Dietro a un personaggio c’è il suo creatore, e dentro al personaggio sono infuse delle idee; in quel momento mi sentii vicina a qualcuno, senza neanche sapere chi fosse, a qualcuno che doveva aver ispirato uno scrittore a fare di Robert Kincaid un fotografo, e un vegetariano.
Il candore e l’ovvietà del dialogo tra Robert e Francesca mi rasserenarono. Quelle poche battute esprimevano perfettamente il senso di una scelta che all’epoca nessuno comprendeva, e le trovo ancora oggi splendide parole.
Parole così semplici e belle sono molto potenti. Possono andare al cuore, se il cuore è predisposto, restare nella mente, se la mente è ricettiva.
Aggiungete una maschera di tofu qua, una Lisa Simpson là, e il messaggio inizia a girare. A covare nascosto nella cenere.
Lascio sempre delle tracce, grandi, piccole, o minime, ma cerco di lasciarle ovunque.
Una spiritosa firma in un forum che annuncia “non sono vegana perché amo gli animali, sono vegana perché ODIO i vegetali”.
Una parola buttata lì conversando, anche con perfetti sconosciuti.
Un panino col tofu alla pizzaiola mangiato dalla protagonista di uno dei miei piccoli racconti.
E il messaggio gira.
Fatelo girare, ma fatelo girare ridendo, sussurrando, o in silenzio lasciando che gli altri semplicemente vi vedano, sappiano che esistete.
Quando vado in palestra, indossando la t-shirt con i coniglietti e la scritta “Siamo belli, siamo sani, perché siamo vegetariani”, e dietro scritto a pennarello l’URL del mio blog, spero sempre che qualcuno mi guarderà la schiena e, incuriosito, verrà a farmi visita, salterà di link in link e si farà di botto una bella cultura vegetariana.
O anche solo, per una sera, deciderà di mangiare bastoncini di pesce di tofu.
Per quanto piccolo, è pur sempre un risultato.
Mi considero come un promemoria, basta la mia presenza a ricordare agli altri che esiste un punto di vista diverso. A innescare piccoli cambiamenti, piccole riflessioni, anche se ci vogliono anni per compiere una scelta e fare la differenza.
Ma pazienza, se anni ci vogliono, non tutti sono pronti a farlo subito. Ci vuole coraggio per cambiare, e sostegno, e piccole spinte quotidiane; e quindi, una T-shirt simpatica qui, un Robert Kincaid là, diamole queste spinte, ma diamole sorridendo, non neghiamo il sostegno, la comprensione, la simpatia. Diamole sussurrando: è un’arte, e può essere sfiancante, ma ne vale la pena.
Sparpagliate piccole esche, invitanti. Chi può seguirle lo farà, chi non può le ignorerà, ma il messaggio sarà stato lanciato, persisterà, e continuerà ad agire anche quando ve ne sarete andati, perché qualcuno si ricorderà di voi, vi lascerete dietro esche, tracce, impronte, fatte di una scia profumata di ravioli al seitan, di un sorriso, o un occhiolino…
…non si sa mai cosa può nascere, da quel che ci sembra solo cenere.
[vera ferraiuolo – http://veruccia.blogspot.com]