Verso una ricerca senza animali?
11 giugno 2007Sarà la direttiva Reach*, entrata in vigore da pochissimi giorni, il motore della nuova cultura «animalista» dei ricercatori? Il fatto è che rende obbligatoria la valutazione della tossicità per l’uomo di 30.000 sostanze usate dall’industria (messe in commercio prima del 1981, quando questo vaglio non era necessario). Valutazione che rischia di comportare una carneficina di animali: c’è chi parla di 4 milioni di esemplari immolati, chi del doppio. Un tributo inaccettabile e costi proibitivi. Ben consapevole del problema, la Reach impone la sostituzione degli esperimenti su cavie, topi, ratti e conigli con test su colture di cellule (umane e non) qualora questo sia possibile e dà un buon margine di tempo alla ricerca in questo campo; non a caso, la direttiva andrà a regime non prima del 2018. Fulcro di questa piccola rivoluzione è l’Ecvam, il centro per la convalida dei metodi di ricerca alternativi alla sperimentazione animale della Commissione europea che ha sede a Ispra, a due passi dalla sponda lombarda del lago Maggiore. Cinquanta ricercatori che lavorano a pieno ritmo, consapevoli dell’urgenza di approdare ad una soluzione del conflitto, ormai stridente, fra la «bontà» della ricerca e il tributo che impone di vite animali.
CONFLITTO ASPRO – Conflitto aspro al punto che l’università di Cambridge, spaventata dalle proteste degli agguerriti antivivisezionisti inglesi, ha dovuto abbandonare il progetto di costruire un centro di ricerca sulle scimmie e l’università di Oxford ha messo da parte l’idea di nuovi stabulari (è contrario il 70 per cento dell’opinione pubblica britannica). Tempi duri per un sacrificio che la comunità scientifica, in modo granitico, ritiene ancora indispensabile ma che incontra sempre di più l’ostilità dell’opinione pubblica dove si va diffondendo l’idea che l’impiego di topi, ratti e cani non dia poi tutte quelle certezze che gli scienziati ostentano con calma olimpica. Solo faziosità, onda emotiva? In realtà alcune ricerche dimostrano che gli effetti di un farmaco sull’animale non sempre sono sovrapponibili a quelli sull’uomo. L’insulina, indispensabile ai diabetici, provoca malformazioni nei topi e nei conigli, l’aspirina uccide i gatti, la stessa ciclosporina, svolta epocale nella tolleranza ai trapianti, aveva dato risultati modestissimi sugli animali. «È altrettanto vero — polemizza Giovanni Biggio, Presidente della Società italiana di farmacologia — che senza le scimmie oggi non avremmo il vaccino per la poliomielite e che la talidomide negli anni Cinquanta fece nascere 10.000 bambini focomelici perché non era stata testata sugli animali».
COSTI E BENEFICI – Tutto vero, ma oggi il confronto costi e benefici si è fatto difficile e la verità scientifica comincia a sfuggire di mano. Conferma l’incertezza uno studio pubblicato qualche mese fa dalla rivista British Medical Journal; autori la Scuola di igiene di Londra, l’università di Edimburgo e quella di Rosario, in Argentina; oggetto di indagine, la concordanza degli effetti fra animale e uomo di farmaci per l’osteoporosi, l’ictus, le emorragie. Il quadro è abbastanza disastroso: quel che funziona nell’animale non cura l’uomo e viceversa. Sono i modelli animali creati in laboratorio mal costruiti o davvero un ratto, o una cavia, non possono avere reazioni simili alle nostre? «Sono convinta della seconda ipotesi — risponde Fabrizia Pratesi, coordinatrice del comitato scientifico di Equivita —. Sono gli scienziati che non vogliono accettare l’inattendibilità dei test sugli animali perché la loro formazione culturale è tutta in quella direzione. Senza gli animali si sentono privi di strumenti e l’industria li ha sempre spinti in questa direzione». «L’animale è un modello sperimentale straordinario — afferma, sul fronte opposto, Giovanni Biggio — . Gli effetti della morfina sulla scimmia sono sovrapponibili a quelli sull’uomo, e la malattia di Parkinson indotta artificialmente nell’animale è identica alla nostra». Nella controversia, l’attenzione, in cerca di pace, torna alla sponda del lago Maggiore dove Ecvam lavora per trovare qualche risposta. Anzi, qualcuna l’ha già trovata. Come spiega il suo direttore, il tossicologo tedesco Thomas Hartung: «Abbiamo validato due test che utilizzano pelle artificiale costituita da cheratinociti e collagene per valutare se una sostanza cosmetica o un farmaco sono irritanti per la pelle. Ma stiamo anche lavorando su 12 metodi alternativi al Draize test (vecchissimo, del 1944, valuta il danno di un composto iniettandolo nell’occhio del coniglio, n.d.r) che utilizzano colture cellulari di occhi di animali, manzo e pollo. Di questi due sono già validati, ma solo per sostanze che abbiano un effetto irritante forte. Per completare questo lavoro ci vorrà un anno». I costi di questa esami? «Decisamente inferiori agli esperimenti sugli animali — risponde Hartung —. Il prezzo di un coniglio è 100 euro, la pelle artificiale costa 20 euro a striscia».
[da il corriere.it – franca porciani]
* Il progetto REACH è pro-vivisezione. Consiste in un programma di test di tossicita’ su decine di migliaia di composti chimici – test svolti su animali. Si tratta di tutte le sostanze chimiche messe in commercio prima del 1981, anno in cui e’ entrato in vigore l’obbligo di classificare ed etichettare le sostanze secondo la loro pericolosita’ (tramite test su animali). Questi test, oltre a essere cruenti, sono del tutto inutili da un punto di vista scientifico, e non proteggono affatto la salute dei consumatori, quindi il progetto REACH e’ una iniziativa CONTRO la quale da diversi anni si impegnano le associazioni contro la vivisezione.
Maggiori informazioni su: http://www.novivisezione.org/fare/reach1.htm
Tanto dovevamo per opportuna conoscenza. [stefano]