La vivisezione è solo business
24 maggio 2010Marco Mamone Capria, professore di matematica dell’Università di Perugia, ha raccolto l’eredità morale del padre dell’antivivisezionismo scientifico Hans Ruesch. Nel suo libro del 1976 “Imperatrice nuda”, Ruesch lanciò un radicale atto di accusa alle presunte basi scientifiche della vivisezione, arrivando alla conclusione che non esista alcun motivo valido, oltre al carrierismo dei ricercatori e al profitto delle case farmaceutiche, per continuare a sperimentare su animali. Il testo influì sulla politica e diede una forte scossa al movimento animalista mentre l’autore incappò in infiniti boicottaggi, persino da parte del suo stesso editore. Mamone è il curatore dei due ultimi libri di Ruesch, “La medicina smascherata” e “La figlia dell’imperatrice”.
Prof. Mamone, è davvero possibile, al di là delle ragioni etiche, combattere sul piano scientifico la metodologia più usata dalla ricerca medica in tutto il mondo?
Decisamente sì, la vivisezione è solo un inganno crudele e questo appare evidente a chiunque approfondisca un po’ l’argomento. In primis per le differenze biologiche tra le specie che rendono i risultati mai univoci: si può scegliere, ad esempio, che animale usare per ottenere il risultato voluto e far commercializzare un nuovo composto chimico, senza sapere in realtà nulla della sua eventuale tossicità per gli umani. Nella ricerca medica, poi, si tratta di curare patologie non naturali, ma indotte artificialmente e solo superficialmente simili a quelle umane.
Si leggono spesso notizie che parlano di cure trovate per malattie umane riprodotte nei topi. Ma poi si aggiunge che mancano anni alle applicazioni umane o che, visto il successo nei roditori, gli stessi test ripartono su altri animali. Ma qual è il criterio con cui si decide che animale usare?
Le ragioni sono economiche e organizzative, lo ammettono anche loro. In Italia si usano più i roditori che le scimmie, che sono evolutivamente più vicine all’uomo, ma anche più costose. E’ comune che i ricercatori sacrifichino migliaia di vite e ingenti fondi pubblici per “curare” i topi, dopodiché sono così consapevoli dell’inutilità del risultato che ripartono da zero con i primati. Ma intanto possono allungare la loro lista delle pubblicazioni.
E con le scimmie il risultato è sempre valido?
No e lo dimostra il fallimento più clamoroso e drammatico della vivisezione, quello della talidomide. Il farmaco fu dato alle donne in gravidanza e provocò la nascita di migliaia di bambini focomelici, senza gambe o braccia. La prova della vivisezione era stata brillantemente superata: il farmaco risultava sicuro per varie specie di primati e di topi, conigli, cani, gatti, maiali e armadilli, tra i quali solo rari individui mostravano reazioni avverse. Su questo argomento grandi nomi della sperimentazione animale come Rita Levi Montalcini e Silvio Garattini si sono dimostrati in maniera imbarazzante incoerenti e reticenti, quando li hanno incalzati gli abilissimi autori di un’inchiesta del programma Rai “Report” dal titolo “Uomini e topi” (disponibile all’indirizzo www.report.rai.it, ndr) alla quale ho collaborato.
E cosa è emerso?
Le argomentazioni dei ricercatori crollano ad una ad una. Alla faccia della trasparenza, nessun laboratorio lascia entrare i giornalisti, neanche quello dell’Istituto Superiore di sanità, ente pubblico, che dovrebbe essere la frontiera ultima della garanzia in ambito sanitario. Addirittura il responsabile della ricerca su animali, Rodolfo Lorenzini, dichiara candidamente di fungere allo stesso tempo da controllore e controllato avendo la facoltà di firmare i moduli per le autorizzazioni alle proprie sperimentazioni. Lorenzini inoltre ricopre un ruolo per il quale, secondo l’interpretazione naturale del decreto legislativo 116/92, sarebbe auspicabile essere iscritti all’Ordine dei Veterinari cosa che lui non è. Ed emergono anche situazioni clamorosamente illegali, che però nessuno ha denunciato.
Ad esempio?
I corsi di formazione di chirurgia laparoscopica dell’Università Cattolica di Roma in cui si fanno esperimenti illegali sui maiali. Sono esercitazioni vietate dalle legge italiana perché, data l’esistenza di metodi sostitutivi altrove utilizzati, non sussiste la condizione di “inderogabile necessità” prevista dalla legge.
Chi dovrebbe denunciare questo abuso gratuito sugli animali?
Credo che dovrebbe essere il compito specifico delle associazioni antivivisezioniste. Così come dovrebbero denunciare le facoltà scientifiche italiane che quasi ovunque disattendono l’obbligo di dare massima pubblicità alla legge 413/93 sull’obiezione di coscienza alla vivisezione nella didattica. Si configura il reato di omissione di atti d’ufficio, per il quale è stata già denunciata nel 2004 l’Università di Perugia che, mesi dopo, si è messa in regola.
Lei crede che le associazioni non si muovano in questo senso?
Ne “La medicina smascherata” Ruesch parla di come le associazioni nate antivivisezioniste, almeno alcune, abbiano perso l’obiettivo di combattere, appunto, la sperimentazione animale e si siano invece convertite più genericamente alla difesa dei “diritti degli animali” insistendo su argomenti solo etici e concentrandosi su altri temi come mattatoi, pellicce, ecc. Ma è solo dimostrando le basi fallaci e truffaldine sulle quali poggia la vivisezione che si può pensare di liberare le sue vittime. Del resto le argomentazioni etiche non cambiano di una virgola le politiche dei governi, né tantomeno quelle delle multinazionali, nemmeno quando in ballo ci sono le persone. Non appare ingenuo pensare che far leva sulla morale possa salvare gli animali quando dall’altra parte ci sono interessi economici?
Negli ultimi anni però il movimento antivivisezionista è riuscito a recuperare molti animali, ci sono centri in cui si fa riabilitazione…
Il fronte più attivo infatti è quello della riabilitazione. Di certo utile per i pochi animali che riescono a uscire dai laboratori, che si salvano però solo per un’operazione discrezionale dei vivisettori, che ad esempio non consegnano mai cani o gatti malmessi su cui abbiano “lavorato”, ma solo quelli in esubero, per evitare di fare brutta figura. E’ necessario che almeno parallelamente si lavori per smascherare la truffa.
Promuovendo anche i metodi alternativi?
Li chiamerei sostitutivi o, semplicemente, scientifici. Funzionano, e sono economici, rapidi e certi. Eppure restano anni in attesa di essere validati perché la pietra di paragone sono i risultati della vivisezione, che invece non è mai stata validata e che a seconda delle specie dà risultati diversi. Le nuove procedure invece, come i chip genetici, che indicano direttamente come una sostanza chimica interferisce con il dna umano, danno risposte inoppugnabili.
E allora, se costano anche meno perché non decollano?
Il loro guaio è proprio che danno risultati univoci. Oggi per ottenere il via a un prodotto basta trovare l’animale che lo tolleri, con metodi veritieri questo business sarebbe impossibile.
[liberazione, 20 maggio 2010 – leonora pigliucci]