Lo sguardo sugli animali maltrattati alimenta la scelta vegetariana
31 maggio 2010Il 2010 potrebbe l’anno in cui essere vegetariani diventerà un fenomeno di massa. Dopo le scoperte di abusi negli allevamenti intensivi, dopo le continue denunce per la salmonella e altre malattie che rischia chi mangia animali male allevati. Dopo svariati choc culturali e infiniti esempi diffusi, qualcuno lo prevede davvero, almeno in America, Certo, dipende dalle masse. Fuori dal primo mondo, rinunciare a mangiare carne quando ce n’è pare difficile. In molte zone del primissimo mondo, specie i ghetti urbani; dove esistono solo supermercati poco sani e fast food e la carne è un modo veloce ed economico per nutrirsi. Altrove, tra gli occidentali precariamente benestanti, che si nutrono con cura e qualche ossessività, sta diventando, oltre che una scelta salutista, una nuova frontiera etica.
I LIBRI – Con incorporato dilemma dell’onnivoro evoluto: mangiare –quando si può, quando ce lo si può permettere- animali che hanno vissuto felici o almeno in buone condizioni, dai polli di cortile alla cacciagione, o non mangiarne affatto? Il dilemma dell’onnivoro è il titolo del bestseller di Michael Pollan sugli orrori e i rischi per la salute dell’allevamento intensivo (per tacere dell’agricoltura). Eating Animals, mangiare gli animali – titolo italiano Se niente importa – è l’ultimo libro di Jonathan Safran Foer, il giovane scrittore di Ogni cosa è illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino. Uscito nel novembre 2009, è probabilmente il più influente libro virale (con un messaggio che si diffonde come un’epidemia) degli ultimi tempi. Foer ha cercato di visitare allevamenti per tre anni. A volte c’è entrato di nascosto, di notte, ha assistito a spettacoli orribili. Non è riuscito, come quasi tutti gli altri autori di libri-denuncia sull’industria alimentare, a visitare un mattatoio. Ma ha intervistato moltissimi addetti che ci lavoravano. Il risultato, il libro, è – parole del New York Times – «un ritratto devastante della crudeltà sistematica e della sinistra segretezza dell’industria agroalimentare americana». Alla fine dell’inchiesta-percorso personale, Foer è un vegetariano convintissimo (a differenza di Pollan e di altri autori di libri e documentari di denuncia, non contrari a mangiare animali ben allevati). Vegetariano non solo per salutismo e animalismo: per una questione di giustizia sociale: «Abbiamo accettato l’allevamento industriale per gli stessi motivi per cui le nostre culture hanno relegato le minoranze al ruolo di membri di serie B della nostra società e tenuto le donne al servizio degli uomini». Insomma, perché è economicamente molto più conveniente. Foer concede che «l’oppressione degli umani è diversa dall’abuso di aninali». Ai suoi critici l’ammissione non è bastata, hanno obiettato che la malaria, causa di morte per un milione di persone l’anno, è più grave della sorte di polli e maiali. Vero. Però il libro di Foer, agghiacciante quando racconta le condizioni di vita negli allevamenti, è ricchissimo di analogie immediate e popolarissime che colpiscono il pubblico: come quella tra l’intelligenza e dei maiali e quella dei cani. I maiali non sono da meno, anzi; però vivono quasi tutta la loro vita immobilizzati in recinti microscopici, bloccati tra le loro feci, fanno viaggi in condizioni atroci verso una morte ancora più atroce. Fossero cagnolini, ci sarebbe una sollevazione. I polli sono più stupidi ma non stanno meglio, racconta Foer. Le loro condizioni di vita portano a «deformità, cecità, infezioni batteriche delle ossa, paralisi vertebrale, emorragie interne, sistema immunitario indebolito» e altro. I bovini al macello a volte non vengono storditi abbastanza e di conseguenza vengono «dissanguati, scuoiati e smembrati mentre sono ancora coscienti».
I CONVERTITI – Il libro di Foer è discontinuo, l’impianto teorico non sempre regge, ma è probabilmente il suo capolavoro. Le storie dell’orrore sono le stesse che si trovano nei tanti saggi e documentari di denuncia dell’industria alimentare prodotti negli ultimi anni. Ma il talento letterario di Foer fa sì che quelle stesse storie suscitino reazioni viscerali, riflessioni eticamente virtuose, scelte nette. Sono moltissimi i lettori (in genere giovani e acculturati, va da sé) che chiudono il libro e smettono di mangiare carne (i blog americani affrontano dilemmi come «cosa cucino ai miei amici non più carnivori per colpa di Jonathan Safran Foer?»). I media fanno sempre più inchieste; nonostante le pressioni dei lobbisti dell’industria alimentare, che tempo fa sono riusciti a convincere –si teme via finanziamenti, o minacce di tagliarli- alcune università a togliere il libro di Pollan dai testi d’esame- fanno sempre più inchieste. Uno scandalo recente, la scoperta che la carne lavorata con un nuovo trattamento all’ammonia trabocca di batteri di e-coli e salmonella, ha scatenato migliaia di commentari online e ispirato moltissime scelte vegetariane. Anche la fattoria-lager dell’Ohio, qualche anno fa, avrebbe colpito meno il pubblico.
IL FUTURO – I vegetariani-ambientalisti-etici insistono: buona parte dell’inquinamento globale è provocato dalle emissioni di gas degli animali, dalle scorie loro e del loro allevamento-alimentazione, dalle monoculture per alimentarli che distruggono i terreni. Mangiare animali, insistono, crea povertà: campi, energia, fatica usati per allevare un animale potrebbero venire usate per produrre vegetali in quantità molte volte maggiore. Perché produrre proteine animali non è mai stato così economico, ma il risparmio rischia di venire pagato a breve. E poi: come si diceva una volta, il problema è politico, e morale. L’industria alimentare ha sempre influenzato la legislazione americana sulle condizioni degli animali. Mangiare carne d’allevamento –il 99 per cento della carne- è, per Foer, «semplicemente sbagliato». Ma non mangiarne non è sempre possibile. Obiezioni dei critici: «Eating Animals-Se niente importa è scritto da una persona di buona cultura e ben nutrita, per lettori di buona cultura e ben nutriti. Foer si occupa solo di quella parte del mondo in cui la gente può scegliere cosa mangiare.” Foer non si chiede perché si vuole o si deve mangiare carne, e cosa la carne significhi per gli individui o le società. L’unica soluzione che propone è la conversione in massa al vegetarianesimo. Senza pensare che i danni dell’allevamento industriale non cominciano e non finiscono con gli animali, riguardano tutti i generi di cibo». E poi ci sono i dubbi degli americani pragmatici. Che dicono «la carne riempie e si cucina in due minuti. Per i genitori che lavorano è una salvezza. Chi è vegetariano deve cucinare, ha bisogno di tempo. In più, siamo alla seconda generazione di adulti che non sanno cucinare. Molti, per disabitudine e scarsa alfabetizzazione, non sanno leggere una ricetta. Aggiungiamo la povertà crescente. Il risultato sarà che andranno a scongelare un hamburger». Meno a cuor leggero, ahimè; le notizie sugli allevamenti degli orrori, nonostante il lavoro di lobbying, si diffondono.
[da corriere.it del 30 maggio 2010 – maria laura rodotà]