Edmondo Marcucci (1900-1963), vegetariano e antispecista ante litteram

marcucci2Dopo anni di lungo e ingiustificato silenzio, sembra finalmente destarsi meritato interesse per la figura di Edmondo Marcucci (1900-1963).
In attesa che Carocci pubblichi in autunno, a cura di Amoreno Martellini, la corrispondenza (centocinquanta lettere dal 1941 al 1963) con Aldo Capitini, le Edizioni dell’Asino hanno ristampato da poco un suo prezioso libretto con una bella prefazione dello stesso Fofi, un’altrettanto lucida postfazione di Annamaria Manzoni, alcune pagine di estrapolate da testi di Aldo Capitini e un’interessante appendice.

Scritto nel 1953, “Che cos’è il vegetarismo?” è tutto incentrato, con grande anticipo rispetto ai nostri tempi, sulla necessità d’impostare un diverso rapporto tra la specie umana e le altre, riflettendo, tra l’altro, sull’illegittimità delle sofferenze inferte dall’uomo agli altri animali.
Come Capitini, che, come si sa, divenne vegetariano negli anni Trenta in segno di aperto dissenso nei confronti della visione violenta e totalitaria espressa dal fascismo, anche Marcucci, che nello stesso periodo fu indotto al vegetarianesimo dalla frequentazione di Tatiana Sukhòtin Tolstoj, figlia del celebre scrittore, motivò la propria decisione come una forma di opposizione antiassolutistica.

A lui, appassionato studioso e seguace di Tolstoj e Gandhi, nonché intimamente legato ad Ernesto Buonaiuti e a Capitini, si deve un instancabilmente attivismo su tematiche proprie della nonviolenza, dall’obiezione di coscienza al servizio militare (fu teste a difesa, insieme a Umberto Colosso e a Capitini, nello storico processo intentato nei confronti di Pietro Pinna, renitente alla leva nel 1948, e sempre a fianco dei Testimoni di Geova che finivano in carcere per non volere imbracciare le armi) all’organizzazione della prima marcia della pace Perugia-Assisi alla costituzione, nel 1945 e sempre con Capitini, dei Centri di Orientamento Sociale, e nel 1952 della Società Vegetariana Italiana, anche in questo caso in compagnia dell’immancabile filosofo perugino.
Quando uscì per la prima volta “Che cos’è il vegetarismo?” non c’era, a differenza di oggi, una vasta bibliografia sull’argomento.

Un motivo in più per apprezzare il lavoro di documentazione e riflessione svolto da Marcucci nonché l’impostazione che ne diede. La scelta vegetariana è, infatti, considerata non tanto sotto il profilo salutistico (di per sé, almeno per chi scrive, poco interessante) ma dal punto di vista antispecista, cioè di presa di distanza dal totalitarismo antropocentrico di duplice derivazione giudaico-cristiana e cartesiana. Non a caso l’autore fu significativamente polemico nei confronti della teologia cattolica e, invece, suggestionato dal buddhismo, dal jainismo nonché da alcuni aspetti dell’induismo.

L’uccisione di altre specie animali, nota Marcucci, risponde ad una visione violenta che inevitabilmente si ripercuote nella società umana. Ma, al di là di questo lato che potrebbe essere ancora tacciato di antropocentrismo o, quanto meno, di opportunismo, ce n’è un altro che è, invece, inconfutabile: la consapevolezza della barbarie esercitata sulle altre specie, del dolore inflitto, unita alla volontà di smantellare l’atteggiamento dominante e prevaricatore di cui l’essere umano si è deliberatamente dotato. E’ ovvio che non siamo ancora a quanto più di un ventennio dopo sarà elaborato da filosofi come Singer, Regan e soprattutto Derrida (senza trascurare il neoilluminismo di Horkheimer e Adorno). I prodromi per la decostruzione, però, ci sono, eccome.
Giusta è stata, pertanto, l’idea di fare seguire allo scritto di Marcucci e alle pagine di Capitini un’importante appendice con la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale (proclamata il 15 ottobre 1978 a Parigi, nella sede dell’Unesco), il Manifesto per un’etica interspecista nonché i criteri informatori del movimento antispecista. E’ anche grazie al contributo di autori come Marcucci, Capitini, Pioli, Baglietto, Martinetti se oggi è in moto una rivoluzione copernicana che segna il passaggio dall’antropocentrismo al biocentrismo.

Pertinente, a questo proposito, la citazione da Milan Kundera riportata da Goffredo Fofi nella sua lucidissima prefazione: “subito all’inizio della Genesi è scritto che Dio creò l’uomo per affidargli il dominio sugli uccelli, sui pesci e sugli animali. Naturalmente la Genesi è stata redatta da un uomo, non da un cavallo. Non esiste alcuna certezza che Dio abbia affidato davvero all’uomo il dominio sulle altre creature. E’ invece più probabile che l’uomo si sia inventato Dio per santificare il dominio che egli ha usurpato sulla mucca e sul cavallo. Sì, il diritto di uccidere un cervo o una mucca è l’unica cosa sulla quale l’intera umanità sia fraternamente concorde, anche nel corso delle guerre più sanguinose”.
Prima di Kundera, un altro autorevole scrittore ceco, come Franz Kafka, aveva sarcasticamente constatato che la posizione eretta è per l’uomo fonte di angoscia: per vedere il cielo con le stelle dovremmo sdraiarci per terra in mezzo alle altre specie.
“Al di ogni ragionamento”, come sottolinea Annamaria Manzoni nella postfazione, “è attraverso una ritrovata identificazione con gli altri animali che si situa la possibilità (l’illusione? Il sogno?) di un mondo un po’ meno sbagliato di quello in cui viviamo. E’ dalla capacità di sentire sulla nostra pelle e nei nostri nervi la ricchezza delle altre vite, di sentire ribollire nel sangue la loro paura e la loro sofferenza che può ripartire la costruzione di società nonviolente, in cui il rispetto per ogni altro da noi, qualunque altro, sia il leitmotiv di ogni relazione”.

Francesco Pullia – da notizie.radicali.it del 10 agosto 2011

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