Sulla dieta mediterranea

Se c’è qualcuno che ancora lo ignora, voglio annunciarlo pubblicamente: la vera dieta mediterranea non è quella inventata quarant’anni fa da Ancel Keys.
Quella viene dagli Stati Uniti e poco importa se il professore americano prima di renderla nota ne studiò per decenni le caratteristiche.
Dovendo fare un esempio più realistico sarebbe meglio restare da noi, puntando sui contadini della Basilicata.
Sono loro il caso da studiare. Loro all’inizio del secolo scorso.
Nel primo decennio del ‘900 il pane era l’elemento principale della loro alimentazione e il tipo di farina usato variava a seconda del grado di agiatezza. Assieme al pane, costituivano cibo quasi quotidiano i legumi, mentre la carne faceva la sua comparsa molto di rado. La carne bianca era rarissima e si consumava solo nelle occasioni solenni.
Quasi sconosciuto era il pesce, che si consumava maggiormente durante le festività natalizie. Veniva importato dal Napoletano e dal Barese e lo compravano soltanto i ricchi.
Nel periodo tra le due guerre si mangiavano soprattutto patate, cipolle e minestre di legumi. Nelle zone costiere si diffuse la coltivazione degli ortaggi, in particolare dei pomodori, che costituivano il nuovo companatico per i contadini lucani.
La pasta era anch’essa un bene prezioso riservato ai giorni di festa o a ricorrenze speciali. Nel Materano si diffuse l’uso della pasta confezionata dai maccaronari, che si condiva col sugo di carne, ma più spesso veniva usata insieme ai legumi.
Tra le verdure, la cicoria e altre erbe selvatiche costituivano la cena dei nostri contadini. Il latte non compariva nella dieta quotidiana. Era un alimento rarissimo riservato ai neonati e agli infermi (ma quello di capra).
Relativamente al formaggio se ne consumavano tre chili e mezzo a testa in Italia; nel Mezzogiorno si arrivava a tre etti a testa, ma solo in qualche caso.
Si trattava, insomma, di una dieta molto simile a quelle degli Hunza o dei Vilcabamba. Ma di area mediterranea.

Stefano Momentè