Barry Horne, morto il 5 novembre 2001
5 novembre 2014«La lotta non è per noi, non per i nostri bisogni personali. E’ per ogni animale che ha sempre sofferto ed è morto nei laboratori di vivisezione e per ogni animale che soffrità e morirà in quegli stessi laboratori, a meno che noi non faremo cessare ora questo sporco business. Le anime degli animali torturati gridano per la giustizia, le loro urla da vivi sono per la libertà. Noi possiamo creare quella giustizia e dargli quella libertà. Gli animali non hanno nessuno tranne noi, non possiamo abbandonarli»
Queste parole appartengono a Barry Horne, attivista per la liberazione ed i diritti degli animali, morto il 5 novembre 2001, al Ronkswood Hospital, a Worcester, Gran Bretagna, a causa di complicazioni al fegato dopo l’ennesimo sciopero della fame indetto per protestare contro il governo inglese che aveva promesso di fare un’indagine pubblica sulla sperimentazione animale.
Barry era stato condannato a diciotto anni di carcere per azioni dirette in difesa dei diritti degli animali: esseri che non possono scrivere appelli per far valere le proprie ragioni o ribellarsi al dominio dell’uomo. Barry Horne era colpevole di un crimine che ha soltanto un nome: compassione, un sentimento ormai inammissibile in un sistema basato sullo sfruttamento e sull’oppressione di esseri umani, di animali e della natura.
Nel 1997 e 1998 Barry portò avanti in carcere tre scioperi della fame per protestare contro la politica del governo riguardo la vivisezione. Questi scioperi della fame ebbero l’effetto di attirare l’attenzione dei media sulla condizione degli animali nei laboratori, e di donare nuova linfa e voglia di combattere a generazioni intere di attivisti.
Con la sua protesta Barry chiedeva la fine immediata di ogni pratica vivisezionista praticata dall’industria dei cosmetici, così come i laburisti avevano promesso (ma non mantenuto) in campagna elettorale. Chiedeva anche l’istituzione di una Royal Commission che affrontasse seriamente ogni aspetto della vivisezione, moderna forma di tortura considerata inaffidabile da un sempre maggiore numero di medici e ricercatori, ma indispensabile per garantire i profitti delle multinazionali.
Dopo il terzo sciopero della fame, durato 68 giorni, le condizioni di salute di Barry erano alquanto peggiorate. I danni sugli organi vitali erano stati da subito evidenti. Gli era stata negata la possibilità di un adeguato ricovero ospedaliero e non era stata modificata la sua categoria A, ossia di prigioniero considerato pericoloso e violento, anche se un diverso trattamento detentivo avrebbe potuto aiutarlo a migliorare le sua situazione psicofisica.
Barry trascorse mesi di terribile agonia, ma non riuscì mai a riprendersi né fisicamente né mentalmente da quest’ultimo lungo digiuno. Morì meno di tre anni dopo, il 5 novembre 2001, per una complicanza al fegato.