Veganismo e fame nel mondo
7 dicembre 2014Categoria : Fame nel mondo
Tag : alimentazione, fame nel mondo, stefano momentè, vegan, veganismo
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La scelta vegan rappresenta la soluzione più accessibile, sicura e sostenibile anche al problema della fame nel mondo. Ogni anno, nel mondo, muoiono di fame, di denutrizione o per patologie ad esse collegate, fra 40 e 60 milioni di persone: di queste circa 15 milioni sono bambini. Inoltre, un miliardo di individui non ha cibo a sufficienza, mentre un altro miliardo consuma carne in maniera esagerata. Come denuncia l’economista Jeremy Rifkin nel suo Ecocidio, ascesa e caduta della cultura della carne, «le potenti culture bovine del Nord America e dell’Europa hanno creato, nel secolo scorso, una scala artificiale delle proteine, collocando al primo posto la carne dei bovini ingrassati a cereali; oggi le popolazioni ricche d’Europa, Stati Uniti e Giappone si trovano al vertice della catena alimentare, divorando la ricchezza del pianeta».
«Il problema di fondo è proprio lo squilibrio nella distribuzione delle risorse», confermano in Dalla fabbrica alla forchetta: sai cosa mangi? (www.saicosamangi.info), importante sito di informazione su questi temi. «L’attuale disponibilità di derrate alimentari potrebbe consentire infatti a tutti gli abitanti della terra di assumere un numero sufficiente di calorie, proteine e altri nutrienti necessari». Invece, negli Stati Uniti gli animali consumano il doppio dei cereali dell’intera popolazione e a livello globale circa 600 milioni di tonnellate di cereali sono impiegate nell’alimentazione animale, soprattutto in quella dei bovini.
Se la produzione agricola mondiale si concentrasse sui cereali per l’alimentazione umana anziché animale, si potrebbero nutrire oltre un miliardo di persone. È un problema di conversione energetica: Frances Moore Lappé, autorevole economista, rilevava già nel 1979 come negli Stati Uniti al bestiame venissero somministrate 145 milioni di tonnellate di cereali e soia; di queste solo 21 milioni tornavano poi ad essere disponibili per l’alimentazione umana, sotto forma di carne e uova. «Il resto, equivalente a circa 124 milioni di tonnellate di cereali e soia, è stato sottratto al consumo umano».
Lappé ha calcolato che se queste 124 milioni di tonnellate fossero state convertite in denaro avrebbero avuto un valore di circa 20 miliardi di dollari e se fossero state utilizzate per l’alimentazione umana avrebbero fornito l’equivalente di una ciotola di cibo per ogni essere umano del pianeta per un intero anno. Anche la FAO, dopo aver incentivato per anni lo sviluppo delle colture per il nutrimento animale, conferma oggi che se una dieta vegan mondiale potrebbe nutrire 6,2 miliardi di persone, un’alimentazione che comprenda il 25% di prodotti animali può sfamarne solo 3,2 miliardi.
Frances Moore Lappé definisce gli allevamenti «fabbriche di proteine alla rovescia». Significa che serve un chilo di proteine vegetali per produrre 60 grammi di proteine animali. Significa anche, come spiegano Sandro Pignatti e Bruno Trezza, autori di Assalto al pianeta, che per produrre una bistecca da 500 calorie il manzo deve ricavarne 5000. Il che vuol dire mangiare una quantità d’erba che ne contenga 50 mila. Solo un centesimo di questa energia arriva al nostro organismo, il 99% viene dissipata. «Energia usata per il processo di conversione e per il mantenimento delle funzioni vitali, scrive Daniela Condorelli in Carne amara, espulsa o assorbita da parti che non si mangiano come ossa o peli». Il bestiame è dunque una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia e lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta, quel 20% che sfrutta l’80% delle risorse globali.
L’acqua è un altro problema, tra i tanti, che indicano la scelta vegana come la migliore. Produrre un chilogrammo di proteine animali richiede quindici volte più acqua di quella necessaria per produrre la stessa quantità di proteine vegetali. È stato calcolato che un chilo di manzo beve 3200 litri d’acqua, tanto quanto ne consuma una famiglia intera in un anno. Quasi la metà dell’acqua dolce negli Stati Uniti è destinata alla coltivazione di alimenti per il bestiame, con il risultato che le grandi falde acquifere delle Grandi Pianure si stanno esaurendo. Insomma, la produzione di vegetali richiede quantità di terreno, acqua ed energia molto minori rispetto alla carne. I vegetali appartenenti alla tradizione agricola e alimentare locale in genere richiedono meno fertilizzanti, erbicidi e sostanze chimiche.
Rispetto ai prodotti di origine animale è possibile quindi produrre in modo sostenibile ed economico gli alimenti per una sana dieta a base vegetale; eppure il consumo di carne è in costante crescita. In un articolo apparso su Il Consapevole, Paola Segurini ha pubblicato i dati della Confederazione italiana agricoltori: il consumo di carne bovina nel nostro paese è cresciuto del 6,8% in due anni. L’Italia è al quinto posto in Europa, con 88 chili a testa ogni anno, dopo irlandesi, maltesi, danesi e francesi. I maggiori consumatori di carne siamo noi del nord del mondo, ma il modello occidentale sta dilagando e l’International Food and Policy Recearch Institute prevede uno scenario insostenibile per il 2020: la domanda di carne nel sud del mondo sarà doppia rispetto al 1995; la domanda di carne di maiale triplicherà in Asia e raddoppierà in America Latina e Africa; in occidente vi sarà un aumento del 25% rispetto agli attuali consumi già spropositati; i cinesi copriranno un quarto dell’aumento globale della domanda di cereali e due quinti dell’aumento della domanda di carne.
Stefano Momentè