Ecologia nel piatto
13 ottobre 2001Oltre due secoli fa, in Inghilterra si sono verificati profondi cambiamenti tecnici, economici e sociali che avrebbero modificato radicalmente le relazioni tra individui e tra esseri umani e ambiente. Stiamo parlando della Rivoluzione Industriale, momento storico in cui nacque la società industriale. Questa società è caratterizzata, tra l’altro, dalla suddivisione del lavoro e dalla specializzazione delle macchine, degli strumenti produttivi e degli ambienti di produzione. Migliorie tecniche hanno richiesto questa separazione, investendo ogni campo della produzione, includendo agricoltura e allevamento.
Quest’ultima suddivisione potrebbe apparire priva di conseguenze negative, ma con gli attuali livelli di consumo si sta rivelando estremamente pericolosa. Basti pensare che in questi ultimi anni la produzione di carne è aumentata vertiginosamente toccando quote inimmaginabili: 170 milioni di tonnellate nel 1990 e quasi 194 milioni nel 1994. Per raggiungere questi livelli è stata necessaria una sempre maggiore specializzazione ed allontanamento dalle tecniche tradizionali di allevamento verso l’allevamento intensivo e l’ingegneria genetica.
Eviteremo qui di parlare di quelle che sono le incredibili sofferenze che gli animali patiscono all’interno degli allevamenti intensivi. Non è questo l’obbiettivo del presente articolo. Cercheremo piuttosto di illustrare l’impatto negativo che gli attuali sistemi di allevamento stanno avendo sull’ambiente.
Anticamente, per i contadini gli animali rappresentavano un’enorme ricchezza, l’allevamento era parte integrante dell’agricoltura e le due attività si sostenevano reciprocamente. Oggi però quest’equilibrio non esiste più
Gli animali sono stati allontanati dai pascoli, vivono in grandi allevamenti e vengono alimentati con farine di cereali, legumi, pesce e carni. Per produrre i mangimi sono necessarie vaste estensioni di terra dedicate esclusivamente al sostento degli animali, questo fatto spiega come mai l’allevamento intensivo sia uno dei metodi più efficaci per aumentare la fame nel mondo e la distruzione delle risorse naturali. Pochi dati possono esemplificare quanto affermato: per produrre un chilogrammo di carne sono necessari dai 7 ai 16 kg di soia, se utilizzassimo un ettaro di terreno per alimentare dei bovini, otterremmo in un anno, 66 kg di proteine, mentre se coltivassimo della soia, se ne otterrebbero 1848.
In un mondo dove quasi il 20% della popolazione è malnutrita, dove tra 40 e 60 milioni di persone muoiono ogni anno di fame e per le malattie ad essa correlate, questo spreco è un atto terroristico.
Nei paesi dell’America Latina la situazione è diversa; resiste infatti l’allevamento estensivo. Gli animali, soprattutto bovini ed ovini, possono pascolare liberamente in enormi superfici create artificialmente e pagando un prezzo elevatissimo: a partire dagli anni sessanta più di un quarto delle foreste dell’America centrale è stato distrutto per far posto agli allevamenti, l’88% dei terreni disboscati della foresta Amazzonica e il 70% di quelli del Costa Rica e Panama sono stati trasformati in pascoli. Dal 1970, secondo dati forniti dal Worldwatch Institute, più di 20 milioni di ettari di foreste tropicali hanno subito questa trasformazione, contribuendo al peggioramento dell’effetto serra.
L’allevamento è responsabile dell’effetto serra nella stessa misura dell’inquinamento prodotto da tutte le automobili che circolano nel mondo. Potrebbe sembrare un paragone esagerato, ma non è così se al problema del disboscamento si aggiungono gli effetti dei gas riconducibili all’allevamento. Ogni anno i bovini allevati producono 80 milioni di tonnellate di metano (il 15 – 20% delle emissioni globali), si tratta del secondo gas più dannoso per l’effetto serra, 25 volte più pericoloso dell’anidride carbonica. Quando esisteva un equilibrio tra agricoltura e allevamento, questa produzione era molto inferiore, per il numero di animali e perché il letame veniva utilizzato come fertilizzante naturale: si spargeva nei campi e la presenza dell’ossigeno impediva la liberazione del metano prodotto dalla decomposizione delle deiezioni.
I gas prodotti dalle feci animali provocano altri effetti negativi. L’allevamento è responsabile dell’85% della produzione di nitrogeno sotto forma di ammoniaca. Il nitrogeno è un nutriente essenziale per le piante, ma in quantità esagerate ha un effetto opposto: i terreni saturi di questo elemento perdono la loro fertilità, portando alla morte le foreste. L’ammoniaca non ha solo effetti negativi sulle foreste, ma anche su laghi, fiumi e mari dove l’eccessiva fertilizzazione favorisce una crescita innaturale delle alghe che assorbono poi l’ossigeno presente nell’acqua con conseguenze a volte catastrofiche. L’ammonio, un altro gas velenoso prodotto dalle deiezioni, è responsabile delle piogge acide che provocano l’acidificazione della terra.
L’impossibilità di eliminare in modo efficace le sostanze tossiche prodotte dallo sterco è uno dei problemi più seri dell’allevamento. Ogni anno si producono centinaia di tonnellate di deiezioni caratterizzate da un punto di vista chimico da una forte presenza di sostanza secca, metalli pesanti, soprattutto rame e zinco, artificialmente somministrati agli animali assieme ad antibiotici e ormoni. Le feci, un tempo preziose per l’agricoltura, si rivelano oggi pericolose per l’ambiente a causa dell’iperproduzione e delle sostanze chimiche che contengono e che inquinano il terreno e le falde acquifere. In tutta Europa è già un problema molto serio la presenza di nitrati e nitriti nell’acqua che beviamo: circa il 50% di quest’inquinamento è dovuto all’allevamento.
Parlando di acqua, è importante segnalare che per produrre un kg di cereali si consumano circa 100 litri d’acqua, mentre per produrre la stessa quantità di carne se ne consumano più di tremila. Per assicurare ai ricchi consumatori del nord la preziosa razione giornaliera di carne, latticini e uova, si sprecano molte centinaia di litri d’acqua. Sembra superfluo segnalare come questo sia insostenibile in un mondo dove ogni giorno le riserve di acqua potabile diminuiscono.
E insostenibile è il modello alimentare occidentale, basato sempre più in prodotti di origine animale. Ci troviamo ormai di fronte ad un bivio: possiamo scegliere di cambiare le nostre abitudini alimentari contribuendo concretamente a curare il mondo, o possiamo scegliere di fidarci del progresso della scienza e delle biotecnologie, capaci di aumentare la produzione di soia, cereali, ortaggi, e di migliorare le caratteristiche sfruttabili degli animali. Ma tutti conosciamo molto bene i pericoli legati a questa seconda strada: siamo disposti a correre il rischio?
Alcuni testi di riferimento:
The Year the World Caught Fire, WWF International, 1997.
A.Durning, H.Brough, Animal Farming and the Environment, Worldwatch – Paper 103.
J.Rifkin, Beyond Beef. The Rise and Fall of the Cattle Industry, Campus, 1992.
Alessandro Cattelan