La produzione di carne sta facendo ammalare i ricchi e morire di fame i poveri
20 maggio 2002Categoria : Fame nel mondo
Tag : alimentazione, carne, fame nel mondo, jeremy rifkin, vegan, vegana, vegani, veganismo
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In un articolo apparso il 17 maggio sul quotidiano britannico The Guardian, Jeremy Rifkin, autore del best seller Ecocidio e presidente della Foundation on Economic Trends comincia a bacchettare i potenti che in giugno si riuniranno a Roma in occasione del World Food Summit.Uno dei punti principali dell’incontro romano sarà la progettazione di un metodo sostenibile per lo sviluppo e il nutrimento del quasi un miliardo di persone attualmente sottonutrite, precisa Rifkin e continua considerando come il menù dei pranzi ufficiali e delle riunioni delle ONG sarà più interessante dell’ordine del giorno del summit.
Ci si aspettano infatti pasti basati sul consumo di elevate quantità di carne, sostiene l’economista americano, e in ciò risiederà la contraddizione. Centinaia di milioni di persone soffrono la fame perché gran parte del terreno arabile viene utilizzato per coltivare alimenti destinati agli animali da allevamento, che sono tra i convertitori di cibo più inefficienti. Negli Stati Uniti, ogni anno 157 milioni di tonnellate di cereali, di legumi e di proteine vegetali adatte al consumo umano vengono destinate al bestiame per produrre 28 milioni di tonnellate metriche di proteine animali per il consumo umano.
Più le multinazionali cercano di capitalizzare sulle richieste di carne provenienti dai paesi ricchi, spiega l’articolo, più aumenta la richiesta di cereali per nutrire gli allevamenti e più la decisione di utilizzare i terreni per la realizzazione di un ciclo alimentare artificiale provoca la miseria di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Un acro di cereali produce cinque volte più proteine di un acro riservato alla produzione di carne; i legumi (fagioli, piselli, lenticchie) possono produrre 10 volte più proteine.
Le multinazionali che producono i semi, i pesticidi, allevano gli animali “da carne”, controllano anche la macellazione, i canali di distribuzione e di vendita e sono decise a sostenere i vantaggi del bestiame alimentato a cereali. Nelle campagne pubblicitarie adattate ai paesi in via di sviluppo i bovini e gli altri animali alimentati a cereali si identificano rapidamente con il prestigio della nazione. La salita sulla “scala proteica” si trasforma, secondo Rifkin, in un segnale di successo della nazione stessa. Ampliamento e diversificazione della fornitura di carne sembrano costituire il primo passo: si inizia con strutture per la produzione di polli in batteria – il sistema più veloce e meno costoso di fornire proteine non vegetali – poi, a seconda dello stato dell’economia interna, si sale sulla “scala proteica” fino ai maiali, al latte e ai latticini, ai bovini allevati a erba, per concludere, se possibile, con i bovini alimentato a cereali.
L’incoraggiamento nei confronti di altre nazioni a agire in base questi schemi favorisce gli interessi delle industrie americane del settore agro-alimentare, infatti i due terzi di tutto il grano esportato dagli Stati Uniti, spiega ancora Rifkin, vanno a nutrire il bestiame piuttosto che le persone in stato di denutrizione o malnutrizione. Milioni di acri di terra del terzo mondo si utilizzano solo per produrre alimenti per gli allevamenti europei, mentre circa l’80% dei bambini denutriti e sottonutriti vive in paesi con eccedenze di produzione alimentare, gran parte delle quali viene destinata agli animali che saranno mangiati dai consumatori “ricchi”. L’ironia del sistema attuale e la contraddizione di base, conclude Rifkin, sono rappresentate dai milioni di consumatori occidentali che stanno morendo a causa di malattie tipiche della società del benessere (infarti, ictus, diabete, cancro), conseguenza dall’ingozzarsi di carni grasse, risultato dei mangimi a base di cereali, mentre nel terzo mondo si muore per le malattie della povertà, a causa dell’impossibilità ad accedere ai terreni e coltivare cereali per le famiglie.
E’ ormai giunto da molto il momento, afferma infine l’economista statunitense, di discutere a livello mondiale i metodi migliori per promuovere un’alimentazione vegetariana per la razza umana.
Paola Segurini
L’articolo di J.Rifkin:
http://www.guardian.co.uk/Archive/Article/0,4273,4415252,00.html#top