Il Vegetarianesimo nella Coscienza di Krishna (prima parte)
12 agosto 2002
Molte persone sono convinte che la Coscienza di Krishna, definita anche vaisnavismo o sanatana dharma, sia semplicemente una religione come le altre, ma la verità è che dovrebbe essere considerata piuttosto una “trans-religione”, in quanto riconosce ed apprezza e comprende tutte le altre vie spirituali autentiche, senza fare discriminazioni.
Come abbiamo già accennato, i seguaci del sanatana dharma accettano Buddha come manifestazione divina che insegnò i principi eterni della religione, e con la stessa visione universale accettano a apprezzano gli insegnamenti autentici di tutte le religioni e i loro seguaci, secondo l’insegnamento dharman saksad tu bhagavat pranitam, “ogni volta che vengono enunciati gli eterni principi della religione, è il Signore stesso che agisce, o personalmente o attraverso i Suoi rappresentanti autentici.”
In questo spirito i seguaci del sanatana dharma invitano i seguaci di ogni religione — buddhismo, cristianesimo, islam eccetera, a unirsi al grande movimento di spiritualizzazione della società umana che consiste nella glorificazione collettiva dei molti nomi e delle molte qualità del Signore (sankirtana).
In lingua sanscrita, sanatana dharma significa “l’eterna qualità inerente” e indica la natura permanente dell’essere, la sua tendenza spontanea e vera, e il suo dovere autentico e naturale. Il concetto di sanatana dharma si contrappone dunque al concetto di gruppo religioso, cioè dharma materiale e limitato, che può essere modificato per vari motivi (conversione, perdita di fede, nuova nascita in un contesto sociale e culturale diverso, eccetera).
Nella Bhagavad gita, il testo sanscrito che espone la conoscenza del sanatana dharma, Krishna (il Signore) dice: sarva dharman parityajya mam ekam saranam vraja, aham tvam sarva papebhyo moksayisyami ma sucah, “Abbandona ogni genere di religione materiale e affidati completamente solo a Me; non temere, Io ti libererò da ogni male.” (18.66)
Sempre nella Bhagavad gita (2.42-43, 44-46), Krishna esorta apertamente il Suo discepolo e amico Arjuna a superare la visione limitata dei Veda conosciuta come induismo: “Gli uomini di scarsa conoscenza si lasciano attrarre dal linguaggio fiorito dei Veda, che raccomandano la pratica di attività interessate per raggiungere i pianeti celesti, per ottenere una buona nascita, il potere e altri benefici simili. Desiderando la gratificazione dei sensi e una vita opulenta, essi non vedono nient’altro… O Arjuna, supera le tre influenze della natura materiale, che costituiscono l’oggetto principale dei Veda. Liberati da ogni dualità, dall’ansia di guadagno e di sicurezza materiale, e stabilisciti nel sé. Come una grande riserva d’acqua adempie a tutte le funzioni del pozzo, così colui che conosce il fine supremo dei Veda raccoglie tutti i benefici che i Veda procurano.”
Come affermano tutti i grandi leader religiosi, le riforme e i nuovi insegnamenti non sono intesi a combattere la religione vigente, bensì a completarla e ad approfondirla, mettendone in risalto lo spirito più che la lettera, portando la gente direttamente alla fonte, a un livello dove tutte le religioni dicono la stessa cosa e le differenze non hanno più significato.
Sempre nella Bhagavad gita (15.1-4), Krishna descrive i Veda e la religione che essi prescrivono come una specie di albero di attaccamenti limitanti che si deve abbattere per arrivare al livello trascendentale della relazione diretta con il Supremo: “Esiste un albero baniano che è eterno e ha le radici che si dirigono verso l’alto e i rami verso il basso; le sue foglie sono gli inni vedici. Chi conosce quest’albero conosce i Veda. Nutriti dalle tre influenze della natura materiale, i rami di quest’albero si estendono verso il basso e verso l’alto; le fronde sono gli oggetti dei sensi. Alcune radici dell’albero scendono anche verso il basso e sono legate alle attività interessate compiute nella società umana. La vera forma di quest’albero non può essere percepita in questo mondo, nessuno può vederne la fine, l’inizio o la base. Tuttavia si deve abbattere con determinazione quest’albero così profondamente radicato usando l’arma del distacco. In seguito si deve cercare quel luogo dal quale, dopo averlo raggiunto, non si torna più indietro. Là si entra a contatto diretto con il Signore Supremo originale, dal quale ogni cosa ha inizio e nel quale ogni cosa dimora fin da tempo immemorabile.”
Questa spiegazione così precisa e lucida ci dimostra che il livello trascendentale della realizzazione spirituale comprende e trascende allo stesso tempo tutte le tradizioni religiose di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e costituisce dunque una specie di “super-religione” universale.
Tutte le religioni della storia, comprese quelle più diffuse ai nostri giorni, costituiscono una specie di “traduzione” di questo eterno e trascendentale sanatana dharma in un linguaggio specifico destinato a un gruppo particolare di persone, distinto dagli altri per livello di evoluzione, cultura, luogo e tempo; ogni religione si basa infatti sui quattro principi fondamentali di austerità, pulizia, compassione e sincerità — e ha lo scopo di collegare l’essere individuale con il Tutto Supremo, che deve essere servito con amore e dedizione.
Dobbiamo notare a questo proposito il significato della parola religione, che deriva dal latino religare, cioè collegare, unire. Lo stesso significato si trova nel termine sanscrito yoga, la cui radice linguistica ha generato ad esempio la famiglia glottologica alla quale appartiene il termine aggiogare, dal latino jungere e jugum, che ha parenti anche nelle lingue anglosassoni (yoke, geoc, joh, zygon). Il termine esprime anche i significati di “disciplinare, asservire, controllare”.
In altre parole, corrisponde all’amore per il Tutto — a quello che i testi sanscriti definiscono come bhakti yoga. Un’altra famosa definizione del sanatana dharma, o bhakti yoga, (o “yoga dell’amore”) afferma: sarvopadhi vinirmuktam tat paratvena nirmalam bhaktir ucyate — l’amore per Dio è la forma pura della spiritualità, totalmente libera da qualsiasi designazione di carattere materiale.
Un’altra definizione molto significativa della coscienza di Krishna è “scienza spirituale”. I concetti esposti nella Bhagavad gita possono essere a buon diritto definiti “scienza spirituale” perché si adattano perfettamente a qualsiasi religione, e costituiscono una descrizione scientifica della realtà dell’universo, come gradualmente sta scoprendo anche la scienza moderna.
Per comprendere meglio il sanatana dharma dobbiamo analizzare il concetto di dharma. Generalmente tradotto come “religione” o “dovere” è in realtà un termine molto più complesso, e può essere definito meglio come “qualità intrinseca” e “attività collegata con la propria natura”, proprio come diremmo che il dharma del fuoco è la luce e il calore, e il dharma dell’acqua è la liquidità. Al livello condizionato delle divisioni sociali dell’umanità abbiamo differenti dharma collegati con la diversa natura psicologica e attitudinale degli esseri umani, che sono considerati doveri religiosi in quanto lo svolgimento coscienzioso del proprio dovere è accettato dalla teologia vedica come una forma legittima di adorazione del Supremo. Tra le varie tendenze degli esseri umani ci sono anche le culture “religiose” che si rivolgono alle varie tradizioni etniche o storiche o concettuali attraverso le quali gli esseri umani si riferiscono al Supremo.
Il dharma eterno dell’essere vivente è quello di servire il tutto, perciò a livello materiale le diverse categorie sociali e i diversi gruppi umani hanno il dovere religioso di servire il corpo sociale o l’umanità nel suo insieme. Il dharma di una persona di famiglia è quello di servire la famiglia, e chi non ha niente e nessuno da servire finisce per servire qualche ideale, qualche illusione, o anche solo un animale da compagnia, ma è sempre e comunque impegnato a servire. Più si cerca di diventare “padroni”, più ci si ritrova ad essere servitori — del proprio status sociale, dell’azienda, delle proprietà, della necessità di mantenere tutti coloro che dipendono da noi.
A livello dell’anima, però, l’eterna religione o natura (sanatana dharma) dell’anima individuale è la relazione armoniosa con il Tutto, il servizio al Supremo. La differenza tra dharma eterno (religione spirituale) e dharma condizionato (religione materiale) è quindi fondamentale: chiunque può spostarsi da una tradizione religiosa (cioè dottrinale, sociale, culturale) all’altra, ma non è mai possibile modificare la propria natura fondamentale, che è quella di servire il Tutto Assoluto in una relazione di amore.
La Bhagavad gita (9.34, 18.65) riassume così il significato dell’origine di tutte le religioni nella forma dello yoga originale: man mana mad bhakto mad yaji mam namaskuru, mam evaisyasi yuktaivam atmanam mat-parayanah, “Pensa sempre a Me, dedicati a Me, amaMi, adoraMi e offriMi sacrifici e rispetto. In questo modo sarai costantemente cosciente di Me e sarai sempre collegato a Me.” Notiamo in questo verso che Krishna Si presenta nella Bhagavad gita come l’aspetto originario e supremo del Tutto universale.
L’antica tradizione del sanatana dharma o scienza dello yoga, che ha dato origine a tutte le religioni del mondo, è stata ripresa con grande energia nel XV secolo da un personaggio di enorme importanza, Sri Krishna Caitanya Mahaprabhu (krsna caitanya significa in sanscrito proprio “coscienza di Krishna”), che predicò il puro messaggio della Bhagavad gita applicandolo al di là dei limiti delle religioni sociali, per distribuire liberamente il puro amore per Dio, libero da qualsiasi limitazione o motivazione materiale.
Sempre all’interno del significato radice della parola yoga, vediamo che il concetto si applica ai diversi livelli di identificazione relativi all’atma: corpo/volontà, sensi/mente, mente/intelligenza, intelligenza/sé spirituale, sé inferiore/sé superiore, sé individuale/Sé supremo, dove l’uno deve essere disciplinato, collegato, controllato e usato dall’altro in direzione ascendente. In generale, lo yoga è la pratica disciplinata di questo controllo del superiore sull’inferiore per progredire nell’evoluzione personale. E’ evidente come tale principio si applichi con uguale validità a tutte le religioni esistenti.
Un altro concetto estremamente scientifico esposto nella Bhagavad gita è il concetto del karma. Il termine karma è ormai entrato a pieno diritto nei vocabolari di tutte le lingue, poiché il suo complesso significato non ha una traduzione equivalente in nessun’altra lingua del mondo. Potremmo tradurlo parzialmente come “azione, reazione e relazione tra azione e reazione” e di conseguenza “destino, buona o cattiva fortuna, risultato dei nostri sforzi, attaccamento all’azione”, “bagaglio di lezioni da imparare o già imparate” eccetera. La scienza dell’azione viene spiegata dettagliatamente nella Gita, che la considera un punto fondamentale nello sviluppo spirituale.
Fondamentalmente, la legge del karma è una legge puramente fisica e scientifica: ogni azione provoca una reazione uguale e contraria. Come in fisica succede per le forze, le reazioni si possono accumulare, smaltire e controbilanciare sempre applicando l’azione (cioè nuove forze diverse).
La Gita distingue tra karma propriamente detto (“azione positiva compiuta per ottenere un risultato”), vi-karma (“azione negativa compiuta per egoismo senza preoccuparsi dei risultati”) e a-karma o nais-karma (“azione che non produce reazioni vincolanti, né buone né cattive, per il suo autore”). E’ importante notare che il karma è sempre temporaneo e soggetto a esaurimento, quindi il “destino” in sé viene riscritto ad ogni istante.
[Parama Karuna]