Il Vegetarianesimo nella Coscienza di Krishna (seconda parte)
14 agosto 2002Molti si saranno chiesti quali siano le motivazioni filosofiche e religiose che spingono i devoti di Krishna a occuparsi del prasada (cibo vegetariano offerto a Dio) con tanto entusiasmo, aprendo ristoranti, scrivendo e distribuendo libri di cucina, organizzando grandi distribuzioni di cibo durante festival e cerimonie religiose.Soprattutto nella tradizione Gaudiya Vaisnava, iniziata nel XV secolo in Bengala da Sri Krishna Caitanya, i due pilastri fondamentali della pratica religiosa del sanatana dharma sono sempre stati costituiti dal canto o dalla recitazione dei nomi e delle attività di Dio (kirtana) e dalla distribuzione di cibo offerto a Dio (prasada).
Essere vegetariani infatti non è sufficiente per rimanere liberi da ogni reazione colpevole e da ogni forma di violenza. Anche i vegetali sono esseri viventi, e sebbene il loro livello di consapevolezza e di sofferenza sia estremamente basso se paragonato a quello degli animali, quando ce ne nutriamo contraiamo un debito nei loro confronti. Nel mondo materiale, spiega lo Srimad Bhagavatam, ogni essere è cibo per un altro (apadani catus padam… jivo jivasya jivanam), ma la Sri Isopanisad insegna che ad ogni essere vivente viene assegnata una parte specifica di nutrimento (tena tyaktena bhunjitha) a seconda delle sue reali esigenze. Poiché l’organismo umano è adatto a nutrirsi di alimenti vegetariani, questo è il tipo di dieta che dobbiamo seguire. Se il nostro organismo avesse veramente la necessità di mangiare carne (come succede ad esempio alle tigri) sarebbe naturale e giusto per noi farlo, secondo l’ordine prestabilito e le leggi dell’universo.
Questo non significa però che gli esseri umani vegetariani (che prendono solo ciò che è loro necessario per vivere) siano liberi da doveri e debiti nei confronti del Tutto universale e del Signore, che è la fonte e il sostegno di ogni creazione e di ogni essere vivente. Per liberarsi da ogni colpa e da ogni debito, l’essere umano deve dunque fare la sua parte nel Tutto universale servendolo con dedizione libera da egoismo (come una parte del corpo serve automaticamente il corpo intero), e specialmente nell’atto del nutrimento deve riconoscere questo suo collegamento subordinato con il Tutto — deve preparare dei cibi adatti al mantenimento corretto del suo corpo e offrirli in sacrificio al Signore Supremo. Soddisfacendo il Signore Supremo, che è la base dell’esistenza di ogni cosa e di ogni essere, avremo soddisfatto ogni debito.
L’offerta del cibo a Dio, o “benedizione” o “ringraziamento” o “offerta sacrificale” è una pratica universale, tramandata in qualche forma in tutte le religioni. Il concetto sul quale si basa è semplice: il cibo che mangiamo ci viene fornito dal Tutto Supremo attraverso la vita che ci è stata data e che ci viene mantenuta, attraverso la salute e l’intelligenza necessarie per guadagnarci da vivere e infine attraverso la grazia della Natura, che fa crescere gli alimenti vegetali con la luce e l’energia del sole e la pioggia — senza le quali non si potrebbe produrre alcun alimento. La Bhagavad gita sottolinea questo fatto, affermando chiaramente che le persone che non offrono il proprio cibo in sacrificio al Signore si comportano come ladri ingrati. I devoti che preparano il cibo pensando al piacere di Dio e compiono sacrifici (cioè azioni sacre) rimangono invece liberi da ogni peccato e possono progredire felicemente verso la liberazione.
Per rispetto verso ogni forma di vita, molti yogi e spiritualisti preferiscono nutrirsi esclusivamente di frutti e foglie caduti dall’albero (che non sono esseri viventi, ma parti separate del corpo delle piante, e che non hanno vita propria né sensibilità), e alcuni scelgono addirittura di applicare le antiche conoscenze vediche dello yoga che insegnano l’assimilazione diretta del prana, l’energia vitale dell’universo emanata dal sole e solitamente assorbita attraverso il respiro. In questo modo alcuni yogi sono in grado di vivere senza mai mangiare nulla, anche per molti anni. Non è un però cammino adatto a tutti, perché comporta una conoscenza e un’apertura mentale straordinarie, e non ci sentiamo di raccomandarlo indiscriminatamente ai nostri lettori. L’alternativa è l’offerta del cibo a Dio.
Un altro aspetto molto importante dell’offerta del cibo a Dio riguarda lo sviluppo di una relazione personale di amore nei Suoi confronti. La tradizione della bhakti vaisnava considera fondamentale coltivare la relazione con il divino attraverso le piccole azioni della nostra vita quotidiana. Così il devoto impara ad amare Dio naturalmente e spontaneamente, come si impara ad amare un maestro, un amico, un genitore, un figlio, un marito o un amante. Quando vogliamo stabilire un legame di affetto con una persona, l’atto più semplice e più efficace consiste nell’offrirle qualcosa di buono da mangiare o da bere. Abituandoci a pensare a Dio in questi termini, la nostra relazione con Lui diventerà sempre più profonda e intima, fino a condurci al puro amore divino.
Nella storia degli scambi tra il Signore e i Suoi devoti, che possono diventare estremamente intimi, ci sono episodi molto commoventi e addirittura miracolosi, che mostrano come in effetti il Signore, che vive nel cuore di ogni essere, ricambia con grande sollecitudine i sentimenti di amore dei Suoi devoti, specialmente basati su una cosa fondamentale e quotidiana come l’offerta del cibo. A questo proposito, consigliamo ai lettori di consultare la vasta letteratura vaisnava disponibile attualmente in varie lingue, anche in italiano.
Tra i tre scambi di affetto illustrati dal grande maestro Srila Rupa Gosvami (XV secolo), il primo è “offrire cibo e accettare cibo”, il secondo è “fare confidenze e ascoltare confidenze” e il terzo è “offrire doni e accettare doni”. Così come vengono applicati con successo nelle relazioni ordinarie, questi tre segni di affetto sono altrettanto validi quando vengono scambiati tra devoti, oppure tra un devoto e il Signore Supremo. Tra i diversi principi della vita devozionale elencati nel Bhakti rasamrta sindhu (“l’oceano di nettare della devozione”), scritto sempre da Rupa Gosvami, c’è l’atto di “offrire al Signore qualcosa che consideriamo buono e valido, qualcosa che ci piace personalmente”, e questo si adatta particolarmente bene al cibo.
In India, questo metodo spirituale è conosciuto anche con il nome di pusti-marga, “la via del nutrimento”, perché l’atto di nutrire con amore e devozione il Signore Supremo offrendoGli buoni cibi nutre allo stesso tempo i sentimenti devozionali del devoto, la sua attrazione spontanea verso il divino e il suo progresso spirituale. A Sua volta, il Signore nutre il devoto con il cibo santificato, che sostiene non solo il corpo e la mente ma anche l’anima, con una potenza tale da ispirare stati di estasi a coloro che hanno sviluppato una sufficiente sensibilità. La tradizione del prasada non è una caratteristica esclusiva della scuola Gaudiya Vaisnava o del vaisnavismo in genere, ma si ritrova con grande continuità in tutti i gruppi dei seguaci dei Veda anche se in modo più modesto, e persino nelle tradizioni ebraiche, cristiane, musulmane, e delle altre scuole religiose.
Le regole osservate dai devoti di Krishna
Cucinare per Vishnu non è una cosa da poco: si tratta nientemeno che della Persona Suprema, il proprietario di tutto ciò che esiste nell’universo, l’origine di ogni cosa, l’antenato e il Padre di tutti gli esseri, la massima autorità esistente, e il nostro migliore amico. Se dovessimo preparare un pranzo per un carissimo amico o un personaggio importante di qualsiasi genere, ci sentiremmo sicuramente emozionati e cercheremmo di mettere tutta la nostra attenzione nel lavoro di cucina. A maggior ragione dovremo avere una particolare cura mentre prepariamo l’offerta per il Signore.
La maggior parte delle regole prescritte dalla tradizione vaisnava riguarda la pulizia, sia a livello fisico che a livello mentale — in altre parole, le “buone vibrazioni” durante la preparazione dei cibi. Trattandosi di una meditazione e di un rituale sacro, la preparazione del cibo da offrire a Krishna dovrebbe avvenire in un ambiente tranquillo, piacevole, spirituale, possibilmente con un sottofondo di musica devozionale o di mantra per aiutare la concentrazione. Gli altri “ingredienti” fondamentali sono la puntualità nella presentazione dell’offerta e la devozione nel cercare di scegliere gli ingredienti più buoni, freschi e sani, che piacciono di più a Krishna, e nel presentare i piatti in modo attraente. Questi accorgimenti si tradurranno inoltre in un enorme beneficio anche per la salute di coloro che consumeranno il cibo offerto.
Secondo le regole delle scritture, alcuni cibi sono considerati di prima scelta, altri di seconda scelta, altri di terza scelta o addirittura inaccettabili, a seconda dell’influsso dei guna. Guna è una parola sanscrita che significa letteralmente “corda, colore, qualità, attributo, caratteristica”. I guna della natura materiale sono tre: sattva (bontà), rajas (passione) e tamas (ignoranza). L’interazione tra queste tre qualità fondamentali della natura, spiegata ampiamente nella Bhagavad gita, dà origine a un’immensa varietà di sfumature di livelli di coscienza negli esseri viventi e di caratteristiche fisiche negli oggetti inanimati. Esseri viventi e oggetti inanimati interagiscono tra loro grazie a queste “corde” che li collegano, e in particolare gli esseri umani, equipaggiati con una mescolanza particolarmente propizia di “colori”, possono usare saggiamente le “corde” della natura issandosi attraverso la rete che esse formano e liberarsi così dalla trappola della materia.
La Bhagavad gita (17.8-10) spiega bene le caratteristiche dei cibi in relazione ai guna: “I cibi in virtù accrescono la durata della vita, purificano l’esistenza e danno forza, salute, gioia e soddisfazione. Questi cibi sostanziosi sono dolci, succosi, ricchi e saporiti. I cibi troppo amari, aspri, salati, piccanti, secchi o caldi sono preferiti da chi è dominato dalla passione e generano sofferenza, infelicità e malattia. I cibi cotti da più di tre ore prima di essere consumati, privi di gusto, di freschezza, puzzolenti, decomposti e impuri sono preferiti da chi è sotto l’influenza dell’ignoranza.” (17.8.10)
Le vere funzioni del cibo sono quelle di accrescere la longevità, di purificare la mente e dare al corpo salute e vigore. Grandi autorità in materia hanno scelto, in passato, gli alimenti che soddisfano in modo migliore queste esigenze e che sono, tra gli altri, i prodotti del latte, lo zucchero, il riso, il grano, la frutta e la verdura. Questi sono gli alimenti preferiti dagli uomini guidati dalla virtù. Altri, sebbene di gusto meno buono, acquistano un sapore migliore e qualità migliori se mischiati con il latte o altri alimenti in virtù e raggiungono così lo stesso livello.
Gli alimenti governati dalla passione generano sofferenza perché producono irritazione e quindi varie malattie, inoltre producono spesso assuefazione, come anche i prodotti governati dall’ignoranza. Gli alimenti sotto l’ignoranza comprendono gli avanzi del cibo toccato da altre persone, che possono trasmettere infezioni e malattie.
Per quanto riguarda gli ingredienti specifici, diversi gruppi di vaisnava possono avere opinioni leggermente discordanti al proposito, ma tutti sono d’accordo che aglio, cipolle e funghi sono da evitare in quanto alimenti fortemente rajasici. Aglio e cipolle non hanno soltanto un cattivo odore di per sé, ma impregnano anche il corpo di chi li mangia, modificando le vibrazioni mentali. Anche i funghi sono considerati poco pregiati, perché si nutrono della decomposizione di altri organismi (non contengono clorofilla e quindi assorbono tutto il nutrimento dal terreno) e spesso assorbono dal terreno anche sostanze tossiche — non solo i funghi velenosi: tutti i funghi sono famosi come “spazzini del terreno”, cioè assorbono sostanze inquinanti e metalli pesanti in quantità superiore a quelle di altre piante. Inoltre dobbiamo considerare il fatto che tutti i funghi contengono grandi quantità di sostanze azotate, che possono intossicare i reni e quindi l’organismo. Per lo stesso motivo è bene limitare il consumo di legumi ad altissimo contenuto proteico, che contengono anch’essi una certa quantità di sostanze azotate.
Altre verdure, come le barbabietole, le rape, la scorzonera, i rapanelli, i finocchi, le carote, le melanzane bianche e via dicendo, sono considerate insipide, poco nutrienti e povere e quindi poco adatte all’offerta rituale, ma come si diceva prima possono essere trasformate, cioè rese migliori, da un procedimento di preparazione e da abbinamenti speciali; non bisogna nemmeno dimenticare che oltre agli ingredienti particolarmente apprezzati e considerati di prima scelta dalla maggior parte delle persone, è ottima cosa offrire al Signore anche le preparazioni che ci piacciono di più o che consideriamo più buone e sane — anche se altri potrebbero considerarle poco attraenti.
E’ opportuno qui aprire una parentesi sulla questione delle esigenze dietetiche personali di chi pratica l’offerta di cibo a Krishna come metodo spirituale. Il bhakti yoga ci insegna che per progredire sulla via spirituale bisogna imparare a controllare i sensi, a cominciare dalla lingua; questo non significa che dobbiamo mangiare delle cose cattive o “povere”, ma che dobbiamo imparare a mangiare soltanto ciò che è veramente necessario — in altre parole, una quantità di cibo molto modesta, specialmente quando il cibo in questione è ricco e squisito come gli alimenti caratteristici della virtù. Può capitare che, per qualche ragione, un devoto debba seguire una dieta terapeutica o prendere delle medicine: se questo regime e queste medicine sono piacevoli, il devoto potrà offrirle al Signore con cuore sincero, e il Signore accetterà volentieri la sua offerta.
Krishna afferma nella Bhagavad gita: patram puspam phalam toyam, yo me bhaktya prayacchati, tad aham bhakty upahritam asnami prayatatmanah,”Se qualcuno Mi offre con devozione una foglia, un fiore, un frutto o dell’acqua, Io mangio con grande soddisfazione la sua offerta perché è fatta con amore.” Non è dunque necessaria una grande ricchezza di ingredienti e di preparazioni: persino una semplice foglia, un frutto o dell’acqua costituiscono una dieta perfettamente accettabile per il Signore, purché vengano offerti con amore.
Dalla cucina di Krishna sono bandite le sostanze inebrianti e intossicanti, come gli alcolici, il caffé, il tè e via dicendo, perché dannose per la salute. Per lo stesso motivo è consigliabile anche limitare o eliminare del tutto gli additivi chimici (conservanti, coloranti, aromi artificiali), cibi in scatola o surgelati, e altre sostanze che sappiamo cattive per la salute. In molti cibi apparentemente vegetariani possono essere contenuti additivi di origine cruenta, come ad esempio il caglio animale, ottenuto raschiando l’interno dello stomaco dei vitellini da latte!
Attualmente la maggior parte dei formaggi in commercio viene preparata con caglio microbico o enzimatico (ottenuto con una coltura simile a quella dello yogurt), e il caglio animale viene usato solo in formaggi “doc” o “biologici”. In effetti anche a partire dal latte crudo si può ottenere una coltura di caglio enzimatico. Un’alternativa sicura al 100% consiste nel preparare in casa la cagliata fresca di latte, caratteristica della tradizione vedica, in cui si usa un caglio di natura chimica: l’acido citrico naturale contenuto nel limone. Il formaggio ottenuto in questo modo ha la caratteristica di non fondere con il calore (come il tofu, la cagliata di soia), e per questa caratteristica costituisce un ingrediente molto particolare che si presta a molti piatti dolci e salati.
[Parama karuna]