Intervista a Marcella Boccia sul valore della Pace
21 marzo 2005In questa società sempre più menefreghista, perché ti “ostini” a batterti per nobili ideali e per il bene comune?
Perché sono ostinata. La mia testardaggine mi guida. Sono fermamente convinta che chi non si occupi del bene comune è solo distratto da altro. Fa parte del nostro DNA occuparsi del bene comune; non si può non occuparsene, perché vorrebbe dire non occuparsi di sé stessi, non occuparsi delle proprie gambe, delle proprie braccia, dei propri polmoni. L’umanità è proprio questo: un solo, grande organismo. I diritti umani di ogni singolo individuo al mondo, bambino, vecchio, donna, uomo, nero, bianco, verde, sono la sola cosa per cui vale la pena di “combattere”, combattere senza armi, senza violenza, ma, anzi, con la rieducazione di questo mondo distratto dalla play station e dal cellulare più piccolo.
Intorno al tuo centro Yoga hai creato una sorta di piccola oasi naturalistica con tanto di laghetto. Perché l’ambiente va difeso e valorizzato?
Non vorrei ripetermi, ma l’ambiente siamo noi. L’aria inquinata di una città diventa parte integrante del nostro organismo. Perciò, se vogliamo guardare solo al nostro piccolo, dovremmo essere più egoisti e prenderci cura dei luoghi in cui viviamo, passeggiamo. Stiamo contribuendo tutti a distruggere questo meraviglioso pianeta. Quando qualcuno apre il finestrino dell’auto in corsa e getta via la lattina di quella famosa bibita, mi sento violentata. L’alibi che tutti hanno è: “tanto ve ne sono altre per terra”.
Certo, solo perché altri idioti sono stati più veloci!
Quali ragioni ti hanno spinto a non mangiare gli animali e, quindi, ad essere vegetariana?
La stessa ragione per cui non mangio te mentre mi intervisti!
Come potrei mangiare la tua coscia? Il cannibalismo vige solo in alcune remote tribù, ormai.
Dovremmo essere un tantino più evoluti rispetto ai nostri preistorici progenitori che erano costretti a versare del sangue innocente per poter sopravvivere. Oggi non ne abbiamo la necessità, abbiamo ogni ben di dio, eppure continuiamo a versare sangue innocente. E’ immorale.
Da qualche tempo hai deciso di impegnarti fortemente anche in politica. Pensi che questa sia ancora lo strumento più efficace per cambiare in meglio la realtà?
Non si può non occuparsi di politica. Se non lo fai, qualcuno lo fa al posto tuo e non è detto che costui agisca per il bene collettivo. Fare politica è, per me, contribuire al bene comune di cui parlavamo. Assicurarsi che tutti lo facciano. L’obiettivo della politica è garantire una vita decorosa ad ogni singolo individuo. Il politico che non si occupa di questo, è un disonesto, e pertanto va rieducato, va rispedito alle scuola d’infanzia, perché solo i neonati hanno il diritto di essere egoisti.
In politica hanno finora quasi sempre comandato gli uomini, con risultati non particolarmente brillanti. Secondo te le donne sarebbero più brave e tu saresti disposta ad assumere un ruolo di responsabilità nelle Istituzioni?
Se in politica sono stati quasi sempre uomini ad emergere, sappiamo bene che ciò è accaduto non per mancanza di capacità politica delle donne. Molte donne, in Italia, sono state e sono tuttora dei grandi politici. Emma Bonino è una di queste. Ma penso anche ad Indira Gandhi, a Sonia Gandhi, o, ad esempio, a Wangari Maathai, Premio Nobel per la Pace nel 2004, ecologista africana, già sottosegretario nel Ministero dell’Ambiente e delle Risorse naturali del Kenya. Le donne sono dei grandi politici. Lo hanno sempre dimostrato. Non usano solo il cervello, ma cervello e cuore!
Mi chiedi se sia disposta ad assumere un ruolo di responsabilità nelle Istituzioni. Non credo ne sarei in grado, e non ne sono interessata. Il mio piccolo contributo lo offro scrivendo ciò che penso.
All’inizio del terzo millennio ancora tante guerre e conflitti nel mondo. Tu hai creato un sito web per la pace e, quindi, credi sia possibile far affermare questo valore?
Nella home page del sito P.E.A.C.E. (Per Elargire Amore Con Estro) vi è un aforisma di Gandhi: “Siate il cambiamento che volete vedere nella società”. Il valore della pace è davvero un valore solo se ciascuno di noi cominci a sentirsi interconnesso col resto dell’umanità. E questo è possibile. Finché ci si sente separati, e finché ci sarà qualcuno che ritiene che il benessere economico, e solo quello, faccia la felicità, le sopraffazioni non avranno fine. Dobbiamo batterci contro ogni razzismo, classismo. Contro tutti gli “ismi”. La tolleranza è la via. La fratellanza è il valore più nobile.
Le nostre zone sono ricche di risorse, eppure sono ancora molti i giovani che vanno via per trovare un lavoro. Cosa occorre dare per bloccare questo fenomeno?
I giovani sono delusi, vittime del disincanto. E la colpa maggiore va ai politici che promettono mari e monti in cambio di un voto alle elezioni e che, poi, se ne dimenticano. Conosco giovani che aspettano, in buona fede, per molto tempo un lavoro che il politico di turno gli aveva promesso. Convinti, poi, da quest’ultimo che in Terra di lavoro non c’è lavoro (quale contraddizione!), partono. Molti giovani del mio paese lavorano fuori, principalmente in Svizzera. Questa è una zona prevalentemente agricola, ma i giovani snobbano questo tipo di attività. Qualcuno li ha convinti che c’è di meglio. Se i piccoli agricoltori si unissero in cooperative, molti giovani troverebbero lavoro e la nostra tradizione verrebbe mantenuta. Vivo in un paese di tremila abitanti in cui moltissimi giovani indiani hanno trovato lavoro nelle aziende agricole, proprio perché i giovani del posto non hanno voluto farlo. In realtà le risorse sono tante, ma vengono ignorate. La situazione perfetta la si immagina sempre lontano, mentre ce l’abbiamo sotto il naso. Se ne avessi competenza, farei la contadina. E ne sarei orgogliosa.
A te che piace molto l’indipendenza, ti spaventa l’idea di farti un giorno una famiglia e di avere dei bambini?
Non trovo particolarmente stimolante l’idea di matrimonio come contratto tra due persone che si promettono qualcosa che non sono certi di poter mantenere. Ho il desiderio di avere dei bambini, ma vorrei adottarli, perché ci sono troppi bambini al mondo che non hanno una famiglia, e non vedo l’esigenza di farne nascere degli altri. I bambini sono tutti uguali, che nascano o meno dal corpo di qualcuna piuttosto che un’altra. Essendo single, per legge non ho il diritto di chiedere l’adozione. Lo trovo assurdo, perché potrei offrire amore ad un bambino costretto a vivere in un orfanotrofio o per strada. Molti bambini hanno un solo genitore, non vedo perché mi vanga negata la possibilità di fare qualcosa per loro da vicino, e non solo con le adozioni a distanza. Sto pensando all’affido, e lo metterò in pratica non appena saprò di potermi dedicare a dei bambini. Confesso che, stando così le cose, mi sposerei solo per ottenere un’adozione. Non sarebbe onesto, ma non è detto che non lo faccia.
Che significa per te il concetto di felicità?
Ricordo sempre una storiella in cui si parlava di un signore che, in vita, guidava un carretto con un mulo. Una persona onesta, altruista, saggia, che adorava il suo animale, tanto che, dopo la morte, si ritrovò in Paradiso tra un gruppo di saggi filosofi, che parlavano di cose che lui, dall’animo semplice, proprio non capiva: chiese, così, di essere trasferito nel fuoco dell’Inferno! Pressappoco, la storia era così, anche se non ho molta memoria, e potrei averla modificata. In ogni caso, la morale è semplice: la felicità è relativa. Non si tratta di un concetto universale. Vuoi fare la felicità di un cacciatore? Dagli degli animali da uccidere…
Più relativo di così…
La mia felicità spicciola è leggere un buon libro davanti al camino acceso.
E lo Yoga può aiutarci ad essere felici o a trovare la felicità?
Lo Yoga può aiutarci a capire cosa ci rende davvero felici. Non ci dice cos’è la felicità, ma di cosa ciascuno di noi ha maggiormente bisogno. Ci aiuta a capire noi stessi. A comprendere quanto ci dedichiamo a cose di poco conto, a quanto ci affanniamo senza necessità. Il termine sanscrito di Yoga vuol dire “unione”: ciò che è interno e ciò che è esterno sono la stessa cosa. Non c’è separazione.
La poesia e la musica sono le tue grandi passioni. Secondo te possono essere ancora usate per lanciare messaggi positivi e quali sono le tue ultime novità in proposito?
La grandezza dell’arte, che sia essa letteraria, pittorica o di altro genere, è che non è proprietà dell’autore, ma di chi ne viene toccato, bene o male. Anche quando un componimento risulti sgradevole, avrà prodotto delle emozioni, avrà mosso qualcosa dentro, toccando la sensibilità del suo fruitore. Così accade per la musica. Credo di si, credo che ogni forma d’arte possa, anzi, debba essere “usata” per lanciare messaggi positivi, per comunicare la bellezza del cosmo. Ecco perché gli artisti hanno il dovere di fare attenzione al messaggio che lanciano con le loro opere, perché le persone che gli prestano attenzione, ed i giovani in particolare, si fidano, ed assorbono ogni tipo di informazione, talvolta senza filtrarla. Le mie ultime novità? Da un po’ di tempo a questa parte non riesco a non occuparmi, nelle cose che scrivo, dei problemi legati alle guerre che sono in corso in molti luoghi della terra.
Visto che abbiamo toccato l’argomento, cosa pensi del fatto che i militari italiani siano ancora in Iraq?
Credo fortemente che i nostri poveri soldati, in Iraq non sarebbero dovuti mai andare. E, visto che ci sono andati, sarebbero dovuti già tornare. E’ vergognoso come anche molti politici di sinistra, che da sempre si sono schierati contro l’attacco americano al povero Iraq, si siano, ora, fatti abbindolare dalle falsità dei mass media, come quelle pubblicate dal New York Times il 31 gennaio scorso. Forse hanno dimenticato che lo stesso accadde il 4 settembre del 1967, quando la stessa testata giornalistica tuonò: “Il voto in Vietnam rincuora gli Stati Uniti!”. Io non ero ancora nata, ma loro si! Oggi, come allora, ci siamo fatti fregare da manipolatori astuti e bugiardi. Veniamo trattati da stupidi perché ci comportiamo da stupidi. Crediamo a quello che ci propina la tv, ma basterebbe conoscere i canali giusti in internet per scoprire come le cose stanno diversamente da quanto ci vogliano far credere. Il nostro ministro della difesa (non so cosa difenda di più se il suo orgoglio militarista e fascista o i bambini iracheni rimasti orfani sotto i bombardamenti) ha dichiarato che “ce ne andremo quando gli iracheni ce lo chiederanno”. Mi auguro, allora, che tutti gli iracheni, anziché pensare a ricostruire un paese distrutto da una guerra che non avevano chiesto, si mettano in viaggio per raggiungere il nostro ministro e chiedergli di andarsene. “Caro ministro, è ora di sloggiare!”. Questo spero gli dicano.
Pensi che le elezioni in Iraq siano state democratiche?
Credo che si debba coniare finalmente un altro termine che sostituisca quello di “democrazia”, perché quest’ultimo l’abbiamo stuprato, ammazzato.
Come possono essere democratiche delle elezioni in cui le liste elettorali sono state tenute segrete per motivi di sicurezza? La verità è che quei pochi iracheni che sono andati a votare (solo di mattina, ecco le file riprese alla tv) hanno votato senza sapere per chi votassero. Sono andati, per la prima volta, a votare su delle schede, grandi come lenzuola, su cui hanno dovuto scegliere tra i candidati di centoundici partiti, cosa che avrebbe mandato in crisi tutti i dottori in scienze politiche in Italia, figuriamoci gli iracheni alla loro prima esperienza.
Una delle più grandi falsità che i media ci hanno propinato in questi giorni è sul dato degli elettori andati alle urne. La Commissione elettorale irachena, della cui assistenza l’Onu si è lavata le mani, decidendo di non avere kamikaze occidentali da inviarvi, parla del 57% egli elettori iscritti. Peccato che non sia mai esistito un elenco degli elettori iscritti! Ma forse i centomila iracheni innocenti, morti sotto le bombe di questi rappresentanti della democrazia western, sarebbero andati a votare, e la percentuale sarebbe stata più alta… Democratiche… Certo, gli iracheni non sono andati a votare perché avevano paura dei terroristi. Non si sono chiesti, però, i grandi strateghi della guerra dell’Iraq come mai, ad esempio, gli iracheni che vivono all’estero, che non venivano minacciati da attacchi terroristici, non abbiano votato? Solo il 25% di quelli iscritti alle liste ha ritenuto che, forse, valeva la pena di partecipare a questo trionfo della democrazia.
A furia di esportare democrazia di là, la stiamo esaurendo di qua…
[da caserta24ore.it del 16 febbraio 2005]