Ma il latte fa male?
2 aprile 2005Latte e polenta sono tossici o, ancor peggio, cancerogeni? L’allarme è stato lanciato qualche settimana fa dall’ex ministro della Salute e illustre oncologo Umberto Veronesi, vegetariano convinto, che da sempre fa appelli per un consumo limitato di carni, soprattutto rosse. Ma il rischio al quale alludeva Veronesi per latte e polenta, citando delle indagini specifiche, è un altro: quello della contaminazione da aflatossina, una tossina prodotta da muffe, in particolare da due specie del fungo Aspergillus, e classificate dallo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) in classe 1, che raggruppa le sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo.
Le aflatossine si sviluppano rapidamente in particolari condizioni climatiche, in genere caldo e una buona dose di umidità, e possono colonizzare sia il mais nei campi che quello nei magazzini. Lo stesso mais che poi viene usato come foraggio per le vacche (e quindi la tossina “passa” nel latte) o per farine che vengono poi utilizzate per la polenta, ma anche per i fiocchi, i cereali da prima colazione o gli snack.
Detto tutto questo, le aflatossine nei nostri alimenti ci sono o non ci sono? “Partiamo sempre dal principio che il rischio zero in alimentazione non esiste”, premette il professor Amedeo Pietri, dell’Istituto di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione dell’Università Cattolica di Piacenza, “detto questo, noi abbiamo fatto dei controlli sia sul latte prodotto dalle singole aziende agricole sia su quello al consumo. A livello aziendale il latte che superava i limiti europei (fissati in 50 nanogrammi/chilo) era il 10-20 per cento del campione, ed infatti la Lombardia ha distrutto in un anno oltre 7000 tonnellate di latte con un grave danno economico. Sul latte al consumo, invece, i campioni fuorilegge erano solo due su ottanta, con una differenza rilevante, però, tra latte fresco e a lunga conservazione: nel latte fresco il valore medio era di 22, in quello UHT circa 12. Il motivo è facilmente spiegabile: il latte a lunga conservazione arriva quasi tutto da Francia o Germania dove, per questioni climatiche, le aflatossine non costituiscono un problema”.
Ma il limite imposto dalle Autorità per la sicurezza alimentare che cosa implica, che sotto quella soglia il rischio non c’è oppure che è difficile determinarlo? “Intanto è bene premettere che qualunque limite riguarda gli adulti”, continua Pietri, che è l’autore delle ricerche citate da Veronesi e lavora in un laboratorio che da più di trent’anni si occupa di micotossine, “per l’alimentazione dei piccoli, il cosiddetto baby food, il limite è dimezzato. Inoltre, il limite europeo per il latte vale sulla produzione della singola azienda, per evitare che un latte con percentuali alte di micotossine possa essere diluito per abbassarne il livello. I nostri limiti, intendo dell’Europa, sono molto prudenziali. Negli Stati Uniti, per esempio, il limite delle aflatossine nel latte è di 500, dieci volte più elevato del nostro. Insomma, credo che sul nostro latte non si debbano fare allarmismi. Ci sono molti controlli e si stanno tentando strategie di buona pratica agricola per tentare di eliminare la diffusione di questa micotossina”.
Per quanto riguarda le farine per polenta, secondo i dati del laboratorio universitario della Cattolica, il 24,7 per cento dei campioni ha evidenziato una concentrazione maggiore del limite europeo di 2 microgrammi/Kg. Su 77 campioni acquistati al supermercato tra novembre 2003 e giugno 2004, la media totale di aflatossina è stata di 2,11, con un picco di contaminazione per le farine biologiche (6,96), facilmente spiegabile per il non utilizzo di prodotti chimici di sintesi. Tutti questi dati si riferiscono comunque a campioni prelevati nei mesi successivi all’estate 2003, quando un clima eccezionalmente caldo e siccitoso favorì la contaminazione da aflatossina nel mais raccolto a fine estate, con conseguenze nella filiera lattiero-casearia.
Anche una cattiva conservazione, però, può far comparire aflatossine in alimenti non considerati a rischio. “Per esempio in ambienti troppo umidi, a temperature troppo alte o in magazzini non adatti. In realtà oggi il problema più grave per il mais”, avverte Pietri, “che si utilizza come foraggio per le mucche, ma anche per i maiali, è quello della fumonisina, altra micotossina trovata in grandi quantità nella Pianura Padana e non ancora normata a livello europeo. La fumonisina è molto diffusa, è cancerogena, neurotossica e citotossica. Vorrei concludere con una considerazione: il rischio alimentare legato alle micotossine è enormemente più elevato rispettro a quello dei pesticidi, prodotti meno tossici delle tossine di cui stiamo parlando, e che si trovano in quantità minori negli alimenti. Eppure ci preoccupiamo più degli uni che degli altri…
[da La Salute di Repubblica – kwsalute.kataweb.it del 1 aprile 2005 – Elvira Naselli]