Il tonno verso l'estinzione? Colpa del sushi
11 luglio 2006È il Wwf a lanciare l’allarme.Chi mangia il fugu è stupido, dice un proverbio giapponese. Al fugu, terribile e velenosissimo pesce palla, si legano infatti le peggiori leggende di sushi del Sol Levante: storie di gente morta all’istante dopo aver messo in bocca un pezzetto di pesce rimasto contaminato dal suo stesso veleno. Anche in Europa però, dove l’uso del pesce palla è vietato ma la passione per maki e rolls dilagante, il piatto nazionale giapponese ha ora la sua prima vittima innocente: il tonno rosso. Il pesce più popolare del Mediterraneo rischia infatti di scomparire dal nostro mare, decimato inesorabilmente dalla cucina fusion e dalle richieste dei ristoranti etnici di mezzo mondo.
La globalizzazione del cibo
A lanciare l’allarme è il Wwf che pubblica «La vera storia del tonno rosso», un dossier di cento pagine in cui l’associazione ambientalista spiega come lo sfortunato tonno rischi entrare nella categoria degli animali in via di estinzione. Tutta colpa della diffusione, nei paesi europei e in America, della cucina giapponese che mette il tonno rosso nella top ten dei pesci più adatti per sushi e sashimi. I livelli di grasso della sua carne sono molto bassi e il suo sapore lo rende perfetto per piatti crudi come quelli in questione: in poche parole è buono oltre che sano, come previsto dai dettami salutisti dell’arte culiaria del Sol Levante. E, quindi, molto richiesto.
Fino a quando il sushi è rimasto relegato nelle cucine giapponesi e di conseguenza la domanda di tonno rosso contenuta, anche le sorti della specie sono state sicure: i cicli di riproduzione e crescita, sostenuti da adeguate politiche internazionali, permettevano infatti di soddisfare contemporaneramente le esigenze del mercato e quelle della natura. Poi i sushibar hanno conquistato New York e Londra, quindi Milano, Parigi e l’Europa intera. E la richiesta di tonno è cresciuta a dismisura, così come gli interessi economici legati alla sua pesca.
Nessuna preoccupazione, però, almeno all’inizio. L’Iccat, una speciale commissione internazionele deputata alla tutela di questa specie ittica nel Mediterraneo e nel Nordest Atlantico, fissa in 32 mila tonnellate annue la quota massima di pesca consentita nell’area. Un tot per ogni paese.
Nonostante le tutele i problemi non sono tardati ad arrivare. I primi ad accorgersene sono stati i piccoli pescatori delle Baleari, in difficoltà a raggiungere i soliti carichi. E poi il pesce nelle reti: troppo piccolo. Un presagio pessimo per gli esperti. Forse il peggiore perché vuol dire che il ciclo di riproduzione e crescita si è guastato. E il pesce rischia di scomparire.
Un business enorme
E’ da qui che parte l’allarme del Wwf: le quote stabilite dall’Iccat sono virtuali. In realtà le 32 mila tonnellate diventano 44 mila nel 2004, 45mila nel 2005 e, addirittura, 50mila per l’anno in corso se le previsioni sono esatte. Sono questi i risultati di una serie di studi di settori compiuti sul biennio 2004-2005 che mescolano i dati economici di impor-export con quelli della pesca. Esiti che si prestano a diverse interpretazioni. Primo: il tonno rosso rischia di finire come il panda, alla faccia delle politiche di tutela. Secondo: buona parte dell’attività di pesca nei nostri mari è condotta illegalmente. Terzo: se questo capita è anche perché ci sono Paesi che chiudono un occhio, se non entrambi. Libia e Turchia in testa, e persino la Francia, stando alle dichiarazioni del Wwf.
«Il volume d’affari è immenso – spiega Michele Candotti, segretario generale del Wwf Italia -: 18 mila tonnellate sono vendute in nero. Una frode fiscale enorme, tanto più paradossa se si pensa ai 30 milioni di euro investiti dall’Unione Europea in politiche di sostegno al settore. Chiediamo all’Unione Europea di interrompere la pesca del tonno rosso fino al prossimo novembre, quando si riunirà la Commissione, e di escludere dal calendario di pesca i mesi di maggio e giugno che coincidono con il periodo di massima riproduzione».
[da la stampa del 6 luglio 2006]