Rivoluzione vegetariana
22 gennaio 2007[i]Il bestiame genera il 18 per cento dei gas serra. Più di quelli prodotti dai trasporti. E occupa il 26 per cento della superficie terrestre: mangiare meno carne aiuterebbe la salvaguardia dell’ambiente. Un interessante articolo di Jeremy Rifkin.[/i]
Mentre va diffondendosi la preoccupazione per le centinaia di milioni di automobili, autobus e camion, come pure per gli aerei e i treni che emettono anidride carbonica nell’atmosfera, surriscaldano il pianeta e fanno incombere la minaccia di un radicale cambiamento climatico sulla Terra, viene quasi ignorata una fonte ancor più insidiosa di gas inquinanti. Forse potrà sorprendervi sapere che la carne che mangiamo è oggi il principale fattore di alterazione globale del clima. Secondo un recente rapporto della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, il bestiame genera il 18 per cento dei gas di serra. Più ancora di quelli prodotti dai trasporti. Ma se gli animali da allevamento, in special modo i bovini, producono solo il 9 per cento dell’anidride carbonica derivante dalle attività umane, generano una percentuale maggiore di gas più nocivi. Come ad esempio il 65 per cento delle emissioni di protossido d’azoto, un gas che contribuisce al riscaldamento terrestre quasi 300 volte di più del biossido di carbonio, provenienti in gran parte dal letame. O il 37 per cento del metano, che ha un effetto 23 volte superiore a quello dell’anidride carbonica come fattore di riscaldamento del globo.
Il bestiame occupa attualmente il 26 per cento della superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci. Non solo, ma oltre un terzo delle terre coltivabili è sfruttato oggi per produrre cereali per gli animali anziché per gli uomini.
Tradizionalmente, il bestiame si nutriva del foraggio delle praterie. Solo nel XX secolo si è cominciato a convenire vaste estensioni di terreno coltivabile producendo cereali per la zootecnia invece che per l’alimentazione umana, in modo che i consumatori più ricchi potessero mangiare carne di animali nutriti con questi diversi mangimi. In questo modo, molte delle popolazioni più povere del mondo sono state confinate in terre marginali, un fenomeno che ha reso sempre più difficile per milioni di persone assicurarsi anche il più modesto apporto calorico quotidiano.
La zootecnia in crescente espansione è divenuta un flagello mondiale di proporzioni epiche. 1 soli bovini stanno letteralmente divorando interi ecosistemi. Molte foreste tropicali, come accade ad esempio in Amazzonia, vengono abbattute per far posto ai pascoli, che stanno erodendo ovunque anche le terre coltivabili, mentre le acque dolci rimanenti nel mondo vengono contaminate dai rifiuti degli animali e dai pesticidi.
Il problema sta diventando sempre più grave. Secondo le stime della Fao, la produzione mondiale di carne raddoppierà entro il 2050, con effetti potenzialmente catastrofici per la biosfera, tanto da spingere l’agenzia delle Nazioni Unite a lanciare un monito: «Per evitare che la situazione peggiori ulteriormente, bisognerà dimezzare i danni ambientali prodotti da ciascun capo di bestiame». Ma dopo averci messo in guardia da questi pericoli, la Fao prospetta una serie di rimedi, fra i quali metodi più efficaci di conservazione del suolo, nuove diete animali per ridurre le emissioni di metano e sistemi d’irrigazione più efficienti. Tutte soluzioni che fanno un po’ sorridere considerando le evidenti dimensioni del problema, che rimane sostanzialmente senza risposta nel rapporto dell’agenzia.
Il fatto è che un numero crescente di esseri umani sta incidendo sempre di più sulla catena alimentare della Terra, con diete a base di carne, a spese dell’integrità del pianeta. Perché allora nel rapporto si fanno solo pochi cenni a una dieta più vegetariana senza raccomandare una sostanziale riduzione del consumo di carne fra le soluzioni proposte? Forse il motivo è che la zootecnia è il settore in più rapido sviluppo dell’agricoltura mondiale, fornisce occupazione a 1,3 miliardi di persone e rappresenta il 40 per cento della produzione agricola globale.
Persino il “New York Times”, generalmente molto attento alle questioni ambientali, ha sottovalutato le implicazioni del rapporto della Fao. Dopo aver lamentato i dannosi effetti del bestiame sull’ambiente e sul cambiamento climatico, la direzione del giornale ha osservato che «la predilezione umana per la carne non si esaurirà molto presto », per cui la soluzione dipende dallo «sviluppo di forme di allevamento più sostenibili». Ma né il famoso quotidiano né la Fao hanno compreso pienamente che “più sostenibile” significa con effetti meno devastanti sulla catena alimentare globale attraverso la riduzione del consumo di carne.
Ci vogliono quattro chili di mangime per far ingrassare di mezzo chilo un manzo nel recinto dove viene allevato, di cui meno di tre chili sono costituiti da cereali e sottoprodotti e poco più di un chilo da crusca. Ciò significa che solo IMI per cento di questo mangime serve a produrre il bue mentre il resto viene consumato come energia nel processo di conversione, utilizzato per mantenere le normali funzioni corporee o espulso o assorbito in parti del corpo che non vengono mangiate, come il pelo o le ossa.
L’inefficienza e lo spreco derivanti da una dieta a base di carne sono molto peggio degli analoghi inconvenienti dovuti all’uso di automobili che bruciano una gran quantità di carburante. Se confrontiamo il rendimento di un terreno destinato alla coltivazione di cereali per l’alimentazione umana con quello di un altro destinato invece a produrre granaglie per gli animali, vediamo che un acro del primo fornisce il quintuplo delle proteine del secondo. I legumi producono una quantità di proteine dieci volte superiore e i vegetali ricchi di foglie 15 volte superiore, per ogni acro, rispetto a quelle che si ricavano dall’allevamento del bestiame.
Negli Stati Uniti, l’industria zootecnica usa l’equivalente di un gallone di benzina per produrre mezzo chilo di carne di manzo allevato con cereali. Per far fronte alla richiesta annuale di carne di una famiglia media di quattro persone – pari a circa 120 chili – occorrono più di 260 galloni di carburanti fossili. Quando questi vengono consumati, emettono oltre 2,5 tonnellate di anidride carbonica addizionale nell’atmosfera: una quantità pari a quella emessa da un’auto media in sei mesi di normale funzionamento.
Ovviamente, la risposta immediata a un sia pur timido invito a ridurre la carne nella dieta è che gli esseri umani sono carnivori e hanno bisogno di questo alimento per conservarsi in buona salute. Ma non è così. Noi siamo infatti onnivori e come i nostri più stretti parenti, gli scimpanzè, ci siamo evoluti biologicamente mangiando soprattutto frutta fresca e verdure e solo occasionalmente carne. Sebbene questa abbia fatto parte tradizionalmente della nostra dieta, fino al XX secolo era più un condimento che un alimento base. Ma le proteine addizionali che la carne contiene sono davvero necessarie per la nostra salute? Di fatto, l’americano medio già consuma molte più proteine di quante l’organismo sia in grado assorbire. Una dieta bilanciata, basata su vegetali può fornire facilmente tutte quelle proteine di cui abbiamo bisogno per restare sani.
Le implicazioni del rapporto della Fao sono chiare. Stabilito che l’allevamento del bestiame è responsabile dell’effetto serra assai più dei trasporti, perché allora i mass media e i governi non lanciano campagne per ridurre il nostro superconsumo di carne come già si sta cercando di ridurre la nostra tendenza all’uso di automobili che sperperano benzina?
[jeremy rifkin – pubblicato su l’espresso del 25 gennaio 2007]